Al momento non è dato sapere quali prescrizioni la Bce imporrà per legittimare l'aggregazione tra Unicredit e Commerzbank, qualora vengano superati i non pochi veti minacciati dal governo tedesco. Possiamo però registrare la buona predisposizione della presidente Christine Lagarde, secondo cui le fusioni tra banche europee non vanno ostacolate, bensì incoraggiate perché creano vantaggi per tutti. Il che non è poco di fronte all'eloquente silenzio della Bundesbank, la banca centrale tedesca in altre circostanze pronta a far sentire la sua voce severa. Per non dire del plauso del mercato, che descrive l'operazione come la prima concreta pietra verso la creazione dell'Unione bancaria che, insieme a quella dei mercati, aiuterebbe a cementare l'Unione Europea nello spirito dei padri fondatori proprio quando ne ha più bisogno. Ciò non significa dare per definita l'operazione: sebbene ci siano pochi dubbi sull'esito finale - soprattutto dopo che il Rapporto Draghi ha messo in guardia da pericolosi arrocchi - altri passi dovranno essere compiuti. Il tentativo di boicottaggio messo in atto dal governo Scholz, che allo scopo avrebbe attivato un esercito di sicari pronti a intimidire quanti hanno sposato le ragioni dell'aggregazione, potrebbe infatti richiedere interventi politici che richiamino al rispetto delle regole proprio coloro, Germania in primis, che le hanno fortemente pretese. In ogni caso, un punto d'arrivo può fin d'ora essere fissato: si è infranto un tabù - il veto alle acquisizioni transfrontaliere - a lungo tacitamente condiviso in nome di una malintesa sovranità nazionale che, nei fatti, ha finora tradito il concetto di Unione.
Uno strappo così violento non è però privo di conseguenze. Accanto agli effetti positivi delle efficienze che aggregazioni di questa portata possono produrre in un settore ancora troppo frammentato, il caso Unicredit-Commerzbank apre più di una incognita sia nelle relazioni tra governo tedesco e governo italiano, nell'eventualità che per la nuova entità bancaria venga seriamente sollevata la questione della sede (Milano o Francoforte?); sia negli assetti di controllo di alcuni gruppi bancari-assicurativi il cui capitale è per definizione contendibile. Se condividiamo l'idea che le acquisizioni transfrontaliere sono non solo legittime, ma addirittura auspicabili per il bene del sistema Europa, non dovremo sorprenderci se tra qualche tempo la francese Crédit Agricole rivendicasse il diritto di crescere nel Banco Bpm, stante che già possiede il 9% dell'istituto milanese. Analogo discorso per Banco Mps, dove il Tesoro ha in fase di elaborazione le modalità di collocamento del 27% del capitale: chi oserebbe protestare se una qualunque banca spagnola o francese, di dimensioni adeguate, volesse replicare il modello Unicredit-Commerzbank? Probabilmente meno agevole sarebbe per un raider puntare al controllo di Banco Bper, visto che in questo caso dovrebbe vedersela con un gruppo robusto come Unipol, che già dispone di una quota rilevante del capitale. Più facile, paradossalmente, sarebbe per un gruppo come Allianz (114 miliardi di capitalizzazione) aggredire Generali che, per quanto abbia migliorato la sua gestione, vale appena 40 miliardi a fronte di un azionariato che definire conflittuale non rende l'idea. Certo, sono ipotesi astratte, semplificazioni, che tuttavia dopo la rottura del tabù sulle acquisizioni cross-border non sembrano più tanto astratte. Né avrebbe senso alcuno invocare la legge sul golden power, visto che il bancario-assicurativo non è compreso tra i settori che la legge definisce strategici.
Sicché non resta che attendere l'esito finale del confronto su Commerzbank, con una convinzione: anche nella malaugurata ipotesi che l'operazione dovesse procedere con lentezza, il varco è aperto e indietro non si torna.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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