Gli Stati Uniti su Taiwan “giocano col fuoco”. Così Pechino mette in guardia Washington dopo l’approvazione da parte di Joe Biden di 571 milioni di dollari in armi e addestramento militare da destinare a Taipei. Il pacchetto di aiuti è il secondo dopo quello da 567 milioni di dollari stanziato a settembre. Il ministro degli Esteri cinese esorta gli Stati Uniti a smettere di armare il governo taiwanese denunciando “mosse pericolose che minano la pace e la stabilità" nell'area e violano “il principio di una sola Cina”.
La tensione nello Stretto di Taiwan è alle stelle. Le autorità di Taipei, che hanno appena ricevuto dagli americani 38 carri armati Abrams, hanno notificato l’identificazione dall’inizio di dicembre di 300 aerei e 205 navi cinesi attorno all’isola. E la possibilità che Pechino possa prendere con la forza la “provincia ribelle” si fa sempre più concreta.
In un’intervista all’Economist Tang Hua, a capo della flotta militare taiwanese, ha parlato della “strategia dell’anaconda” adottata dal gigante asiatico per stringere e soffocare Taipei. Per sabotare i piani della Cina Taiwan conta sull’intervento dell'alleato statunitense. Washington ha numerose basi nell’Indo-Pacifico da cui far partire l’assalto alla potenza cinese ma quali possibilità di successo avrebbero davvero gli americani?
Una risposta a questo interrogativo arriva da un report pubblicato a dicembre dal Dipartimento dell’Air Force Usa secondo il quale le basi aeree a stelle e strisce, negli ultimi 30 anni ritenute rifugi sicuri dagli attacchi nemici, “non possono essere più considerate un santuario”. Metà delle strutture esaminate – tra cui aeroporti e strutture di stoccaggio di munizioni – sono attualmente “in condizioni di rischio moderato o elevato” poiché gli avversari dell’America “ora possiedono capacità avanzate” in grado di metterle in pericolo.
Questa cupa analisi è confermata da uno studio condotto dallo Stimson Center che esprime una valutazione ancora più preoccupante. ll think tank ritiene infatti che gli attacchi missilistici di Pechino potrebbero bloccare l’operatività delle basi aeree Usa “in Giappone, a Guam e in altre isole del Pacifico nei primi giorni critici e persino nelle prime settimane di una guerra tra gli Stati Uniti e la Cina”.
Gli esperti del centro studi ritengono in particolare che nelle prime due settimane di un conflitto per Taiwan Washington non sarebbe in grado di far decollare jet militari dalle basi aeree giapponesi, incluse quelle di Kadena e di Futenma, le uniche due installazioni da cui i caccia degli States potrebbero completare le loro missioni a Taipei senza doversi rifornire in volo. Inoltre Pechino potrebbe bloccare l’accesso alle basi aeree statunitensi anche a Guam e in altre postazioni nel Pacifico almeno per le prime 96 ore di una guerra sino-americana.
I primi giorni di un conflitto sono cruciali. L'esempio ucraino lo conferma. La Russia pensava infatti di riuscire a decapitare i vertici politici di Kiev e stabilire un governo fantoccio nelle prime 72 ore dell'operazione militare speciale lanciata contro l'Ucraina. Proprio la risposta tempestiva del governo di Zelensky ha permesso però di sabotare i piani di Mosca.
Per scongiurare la conquista rapida di Taiwan da parte della Cina lo Stimson Center non si limita a suggerire la dispersione, peraltro già approvata dal Pentagono, di aerei e personale in un maggior numero di strutture nell’Indo-Pacifico ma invita l’aeronautica militare Usa a dare priorità anche “alla missione di interdizione aerea all’interno della Prima catena delle isole” che si estende dal Giappone fino alle Filippine. Per farlo gli Stati Uniti dovranno creare un gran numero di “piattaforme indipendenti dalle piste e droni di vario tipo e con diversa gittata”.
Solo dopo aver disinnescato l'immediata minaccia missilistica di Pechino sarà possibile fare ricorso al massiccio impiego di caccia e aerei cisterne necessari per supportarli spezzando così la morsa dell'anaconda cinese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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