Parlare di vertice inutile forse sarebbe troppo ma sicuramente l’incontro tra il presidente russo Putin e quello turco Erdogan non ha risolto nessuna delle questioni sul tavolo, dall’accordo del grano fino alla possibile apertura di un reale e credibile piano di dialogo. Ma potrebbe essere stato utile a porre le basi, per quanto instabili, di quello che potrebbe accadere di positivo da qui in avanti. Tre ore di incontro, secondo Putin comunque meritevole di essere definito «un successo», visto che a suo dire, «le relazioni tra Russia e Turchia si stanno sviluppando con successo in tutti i settori e in tutte le direzioni». In realtà, non è esattamente così.
Per quanto riguarda l’accordo sull’export dei cereali, bloccato e non più rinnovato dalla Russia con conseguenze enormi per tutto il mondo, Putin infatti rimane sulle stesse posizioni che porta avanti da settimane. «Prenderemo in considerazione la possibilità di rientrare nell’accordo sul grano quando i Paesi occidentali rispetteranno gli impegni presi», ha detto lo Zar, riferendosi al collegamento della banca agricola russa allo Swift, la fornitura di pezzi di ricambio per le macchine agricole, lo sblocco della logistica dei trasporti e delle assicurazioni, la riattivazione dell’oleodotto e lo scongelamento dei beni di alcune società russe. Vale a dire, di fatto, che la Russia tornerà all’accordo solo quando l’occidente eliminerà del tutto o in buona parte le sanzioni, ipotesi che lo stesso Putin sa bene non essere credibile nemmeno un po’ e che, anzi, sanno di ricatto. Di fatto, il patto di luglio firmato anche sotto l’egida delle Nazioni Unite, sembra destinato a rimanere nel cassetto. Tanto che si guarda già all’alternativa, con Mosca che considera gli accordi con Turchia e Qatar come «valida alternativa». Anche se Erdogan tira dritto: «Le alternative all’accordo sul grano proposte non sono sostenibili, sicure, permanenti», ha detto. Del resto il presidente turco parla soprattutto per interesse personale più che per amor di giustizia sociale e non a caso rilancia anche il progetto di creare un hub del gas in Turchia, che metterebbe Ankara al centro delle forniture energetiche europee, accreditando Erdogan di un importanza che il Sultano sogna da tempo.
Deluse quindi le aspettative europee di speranza di una marcia indietro di Putin. «Proprio ieri la Russia ha lanciato un altro grande attacco su Odessa mirando esattamente proprio alle strutture per l’esportazione del grano ucraino, compresa l’area del Danubio, e questo dimostra ulteriormente come la Russia sta esacerbando la crisi alimentare globale con le sue azioni che mettono a rischio milioni di persone», ha detto un portavoce Ue.
Nulla di fatto, ma era ampiamente previsto, anche per quanto riguarda il fronte del dialogo.
Il leader turco aveva fatto intendere che avrebbe cercato in tutti i modi di convincere «l’amico» Putin a sposare posizioni meno intransigenti e ieri ha ribadito che «La Turchia è pronta a fare la sua parte per fare in modo che Russia ed Ucraina abbiano negoziati diretti». E ancora, nel gioco della parti che sostiene, ha detto che «l’Ucraina dovrebbe essere più conciliante». Ma il messaggio verso Mosca sembra essere stato rispedito al mittente. Nel momento in cui Putin continua nella sua triste pantomima e dice che «la Russia non ha mai rifiutato il ruolo di mediatori che potessero contribuire a risolvere la crisi in Ucraina» e che il suo Paese è sempre stato aperto al dialogo», è chiaro che ogni ipotesi credibile di trattative rasenti lo zero. Ma in qualche modo, qualsiasi forma di dialogo deve avere una qualche forma di inizio e quindi, mai dire mai.
Con il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba che si dice «convinto che, sulla base dei risultati del colloquio di Erdogan con Putin, ci sarà un colloquio tra il presidente Erdogan e il presidente Zelensky». Un primo passo, forse, di un percorso comunque in estrema salita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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