"Grazie al cielo per gli ucraini". La debolezza di Mosca e Teheran dietro la caduta di Aleppo

La relativa fragilità degli alleati di Damasco potrebbe aver avuto un ruolo determinante nell'avanzata dei ribelli siriani

"Grazie al cielo per gli ucraini". La debolezza di Mosca e Teheran dietro la caduta di Aleppo
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La guerra civile in Siria si rivela l’ennesimo Hotel California mediorientale. Infatti i ribelli siriani, annunciando la conquista di Aleppo e il collasso delle forze di Bashar al-Assad nel nord e nel centro del Paese, hanno riaperto il conflitto interno che, cominciato nel 2011, sembrava essersi concluso con il trionfo del dittatore grazie al sostegno ricevuto dalla Russia, dall'Iran e da Hezbollah.

In effetti la "triade del caos" non ha mai abbandonato il regime siriano garantendo di fatto la sopravvivenza di una dinastia inaugurata nel 1971 da Hafez al-Assad, padre di Bashar. Un puntellamento che, rilevano diversi commentatori, non aveva però impedito a milizie curde appoggiate dagli Stati Uniti e fazioni sunnite supportate dalla Turchia di controllare parti della Siria, agli stessi americani di stabilire una presenza militare nella parte orientale del Paese, ad Israele di lanciare all’occorrenza raid aerei e all’Isis, seppur ridimensionato, di continuare a condurre attacchi letali.

Nonostante queste premesse, in pochi avevano comunque previsto che i ribelli sarebbero riusciti a riguadagnare terreno e a conquistare la città di Aleppo in appena 72 ore. Per spiegare la debacle dell’esercito regolare siriano non è tanto alla forza della coalizione antigovernativa composta da una galassia eterogenea di gruppi, tra i quali la formazione ex qaedista Hayat Tahrir al-Sham (Hts), o a quanto sta accadendo in Siria che bisogna guardare. Ben più utile potrebbe invece essere allargare l’obiettivo per analizzare ciò che è accaduto nel frattempo fuori dai confini del Paese e tra gli alleati di Assad.

È uno spostamento tettonico. Potenze regionali e internazionali sono intervenute in Siria una decina di anni fa e ora i conflitti in Ucraina, Gaza e Libano si uniscono e sovrappongono ad Aleppo”, riassume Andrew Tabler, esperto del Washington Institute for Near East Policy. Un punto di vista per nulla isolato e tanto più interessante se si considera che Tabler si è occupato di affari siriani durante il primo mandato di Donald Trump.

Come sottolinea il Wall Street Journal, il presidente russo Vladimir Putin, gli ayatollah iraniani ed Hezbollah in Libano sono alle prese con conflitti che minacciano la loro stessa sopravvivenza e, a vari livelli, hanno subito dei “colpi strategici”. La Russia è intervenuta in Siria nel 2015 ma la guerra di aggressione all’Ucraina cominciata nel 2022 e il fallito golpe tentato l’anno scorso dalla formazione paramilitare Wagner hanno degradato le capacità di Mosca di supportare con efficacia l’alleato in Medio Oriente. Secondo alcune stime, in quasi tre anni di conflitto nell’Europa orientale i russi avrebbero perso 117 aerei e non stupisce dunque che i blitz condotti negli scorsi giorni dai velivoli della Federazione non siano riusciti a fermare la caduta di Aleppo.

Grazie al cielo per gli ucraini”, afferma Mouaz Moustafa dell’organizzazione pro-democrazia Syrian Emergency Task Force per il quale la situazione attuale è riconducibile ad una Russia “molto, molto impegnata in Ucraina”. Non è un caso che i ribelli di Hts abbiano precisato in un comunicato che “la rivoluzione siriana non è mai stata diretta contro alcuna nazione o popolo, inclusa la Russia”.

Alla relativa debolezza di Mosca deve poi aggiungersi il contraccolpo derivante dal conflitto ormai aperto tra Israele e Iran. Nel corso dello scontro con lo Stato ebraico la Repubblica Islamica ha infatti incassato non solo colpi diretti contro sue strutture militari ma anche contro i suoi alleati nella regione. In particolare la decapitazione di Hezbollah e il ripiegamento in Libano dei fedayn ha aperto vuoti in Siria che i miliziani anti-Assad puntano a colmare.

Cui prodest, ci si chiede a questo punto.

Per l’analista del Brookings Institution Asli Aydintaşbaş a trarre profitto dal caos siriano ci sarebbe la Turchia pronta a sfruttare l’”enorme opportunità” rappresentata dall’avanzata dei ribelli da essa appoggiati. Una ripresa massiccia del flusso di sfollati dalla Siria verso la frontiera turca potrebbe però comportare per Ankara non pochi problemi.

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