L’Armenia, un Paese al centro del Caucaso e della storia. Una traiettoria complicata e millenaria che porta fino ai giorni nostri dove l’attacco azero alla libera repubblica dell’Artsakh ha prodotto il drammatico esodo di 120mila profughi dal Nagorno Karabakh.
Per capire meglio il guazzabuglio geopolitico in cui si trova questo Paese siamo andati a trovare nella città di Gyumri, Antonio Montalto. Per più di 20 anni console onorario in Armenia. Palermitano è arrivato qui nel 1988 per aiutare dopo il terribile terremoto e non se n’è più andato. Negli anni ha deciso di aprire attività come il suo hotel per finanziare progetti di aiuto e sviluppo concreto nel Paese.
Una persona che ama, vive e conosce l’Armenia e subito viene al punto: “Viviamo un momento molto doloroso, le persone che dal Nagorno Karabakh stanno arrivando aumentano la pressione su una situazione interna già instabile e molto emotiva. Si sta aggiungendo dolore ad altro dolore.”
Parlando con la gente comune sembra che il primo ministro Nikol Pashinyan sia l’unico responsabile di tutto questo, è davvero così?
Non proprio, quando è stato eletto nel 2021 veniva acclamato come colui che potesse risolvere tutti i problemi, ora viviamo la stessa situazione ma capovolta dove sembra essere l’unico imputato sul banco. Il popolo armeno è emotivo e questo sta alla base del risentimento nei confronti del governo.
Però il primo ministro non è esente da colpe…
Certo, ma non è un problema particolare bensì generale della politica armena. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica non c’è mai stato un buon esercizio e un interesse all’azione politica. Noi come Paesi europei potevamo avere una leadership spirituale in tutto questo che non abbiamo saputo cogliere.
Mi pare di capire che l’URSS sia un po' all’origine dei problemi di oggi, è così?
La mentalità sovietica ha portato una serie di disvalori e li ha strutturati. Oggi qui si vive la politica come un rapporto personalistico senza pensare al bene comune. Per 70 anni Mosca ha inculcato la politica del “mondo contro”, l’idea era essere contro gli americani. Ma come fai a costruire se vivi solo in opposizione a qualcosa?
Una dottrina tossica dunque.
A livello di politica interna c’è una classe dirigente che non si sente legittimata a governare e di conseguenza non persegue gli interessi nazionali. Per una vita era la grande madre Russia a dettare l’agenda e quindi perché impegnarsi? Perché mettere le proprie forze in un progetto di miglioramento se sei cresciuto con l’idea che arriverà l’aiuto dall’alto? Qui si vive il dramma dell’epilogo del sovietismo e siamo alla resa dei conti.
Anche i corpi di polizia non sembrano particolarmente amati dalla popolazione…
Si, più che polizia sono dei bodyguards privati legati al potere. Ma non guardiamo al fenomeno particolare, se per prima la politica non persegue il bene comune perché dovrebbe farlo la polizia o qualsiasi altra istituzione pubblica?
Come vede il futuro dell’Armenia e del Nagorno Karabakh?
Quello che vedo e sento è una grande sofferenza. In queste terre si è sedimentato l’odio. Tra armeni, turchi e azeri non vedo una possibile pace. L’unica via sarebbe il perdono ma mi rendo conto che si tratta del sentimento più anti-intuitivo che si possa avere. Tutti qui hanno avuto un fratello, un amico, un fidanzato morto in battaglia.
Poche speranze dunque.
Lasciare Nagorno Karabakh è il male minore in questo momento.
Ma quella regione non è la terra ancestrale per gli armeni?
Lo è certamente, ci sono stati referendum, la popolazione che lo abitava è totalmente armena. Parliamo spesso di autodeterminazione dei popoli ma in questo caso non la vedo rispettata, potremmo parlare di una autodeterminazione a targhe alterne. Sembra non ci sia una logica, l’unica che vedo nel mondo è quella del più forte.
Cosa può fare allora questo popolo per uscire da questa situazione?
Innanzitutto, cambiare mentalità. Ora l’Armenia si pensa come soggetto che può solo ricevere aiuto; invece, pensare di poter diventare soggetto attivo di un cambiamento è il primo passo.
Ogni nazione è una bella pennellata di colore in questo mondo e il compito di un popolo e della sua politica è quello di conservare questa bellezza a beneficio dell’umanità. Qui non credo ci sia la volontà di agire in tal senso.
Da dove deriva questo disinteresse?
Ancora una volta dall’Unione Sovietica. Al suo crollo da un giorno all’altro lo Stato è sparito ed è diventata una gara ad arraffare quello che era rimasto. È un periodo duro per l’Armenia e diventerà ancora più duro.
Teme che ci sia un rischio di un colpo di stato o che l’Azerbaijan continui la sua politica aggressiva?
Non credo ci sarà un colpo di Stato nel senso drammatico del termine, vedo invece un Azerbaijan che ha trovato la sua finestra di opportunità e vede a portata il grande sogno di riunirsi all’enclave azera del Naxçıvan rubando altre terre a questa nazione.
Una tempesta perfetta dunque...
Si, la Russia vive una crisi di credibilità senza precedenti e l’America è presente ma senza un interesse così forte. Quello che posso pronosticare è una turbolenza forte. Manca una chiarezza nella visione politica.
Se una persona in Italia volesse aiutare l’Armenia che consiglio si sente di dargli?
Punto primo fare le proprie cose bene nella vita di tutti i giorni e secondo informarsi nella maniera corretta. Bisogna provare a uscire dalla propria bolla e provare a capire la complessità del mondo che ci è attorno cercando di non lasciare indietro nessuno.
Non ha paura rimanendo qui?
Io sono troppo vecchio ormai. Non mi sposti più.
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