Due colpi al "prezzo" di uno: questa notte Israele non solo ha messo fuori gioco il leader di Hamas Ismail Haniyeh, ma lo ha fatto in casa del nemico giurato iraniano. E non in un luogo qualsiasi, ma nella capitale Teheran, ove quest'ultimo si era recato per partecipare alla cerimonia di insediamento del neopresidente Masoud Pezeshkian.
Ma soprattutto, nelle stesse ore in cui si assiste ai prodromi della nuova escalation tra Tel Aviv ed Hezbollah. Un momento precario, nel quale, inoltre, l'amministrazione del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha cercato di spingere Hamas e Israele ad accettare almeno un cessate-il-fuoco temporaneo e il rilascio degli ostaggi. Difficile, se non impossibile, immaginare cosa potrebbe accadere ora.
Sul fronte mediorientale, la Turchia si trincera immediatamente dietro la condanna con forza di ciò che ha definito un “atroce assassinio”, attribuendolo al governo israeliano. Del resto, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha regolarmente ospitato Haniyeh. Un comunicato del ministero degli Esteri ha affermato che l'omicidio ha dimostrato che il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu “non ha alcuna intenzione di raggiungere la pace” e che "l'attacco mirava a far crescere il conflitto di Gaza su scala regionale" .
Ma i timori crescono anche in quel di Washington: il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, ha dichiarato che, nonostante gli eventi delle ultime 24 ore, dagli STati Uniti si spera che Israele sia in grado di giungere a una soluzione diplomatica oltre che una de-escalation. “Non credo che la guerra sia inevitabile”, ha dichiarato ai giornalisti a Manila, nelle Filippine. “Lo sostengo. Penso che ci sia sempre spazio e opportunità per la diplomazia, e vorrei che le parti perseguissero queste opportunità”. Nella fase più critica, che porta verso le disastrate presidenziali di novembre, Washington non può permettersi un conflitto all'estero, sebbene continui a confermare il proprio impegno accanto all'antico alleato israeliano. Il fatto che non ci sia stata ancora reazione alla notizia da parte della Casa Bianca, infatti, è un segnale alquanto ambiguo.
Dal Politburo multicefalo palestinese, la condanna è pressoché unanime: l'alto funzionario palestinese Hussein al-Sheikh, in Cisgiordania, ha condannato l'assassinio di Haniyeh come un “atto vile”: “Denunciamo e condanniamo con forza l'assassinio del capo dell'Ufficio politico, il leader nazionale, Ismail Haniyeh”, ha scritto il capo degli affari civili dell'Autorità palestinese su X. Lo consideriamo un atto vile, che ci spinge a rimanere più fermi di fronte all'occupazione e alla necessità di raggiungere l'unità delle forze e delle fazioni palestinesi”, ha scritto il capo degli affari civili dell'Autorità palestinese su X. L'alto funzionario di Hamas, Moussa Abu Marzouk, ha aggiunto che l'assassinio di Haniyeh non rimarrà senza risposta. A ciò si aggiungono gli appelli a uno sciopero generale e a proteste di massa in Cisgiordania, anche a Ramallah e Nablus, dopo la notizia dell'uccisione di Ismail Haniyeh. Al Jazeera, inoltre, rilancia notizie di media locali che riferiscono di appelli alla mobilitazione da parte di "gruppi della resistenza palestinese".
La mossa ora atterrisce anche i familiari degli ostaggi che, in Israele, temono anche il più piccolo battito d'ali che possa far saltare delicati equilibri o linee di comunicazione così difficoltosamente intessuti in queste ultime settimane. Il che ora crea fortissima pressione sul governo Netanyahu già in difficoltà, ma soprattutto rischia di far ritrattare Hamas. "Per i leader di Hamas il posto giusto è l'inferno, e noi tutti siamo favorevoli a che paghino per le loro azioni. Ma non possiamo permettere che l'assassinio di Haniyeh ponga fine alla ricerca di un accordo e condanni a morte i nostri cari tenuti in ostaggio". Lo afferma, citato da Haaretz, Einav Zangauker, padre di Matan, trattenuto a Gaza da Hamas dal 7 ottobre. Rivolto a Netanyahu il padre dell'ostaggio ha ribadito come "la sua responsabilità è innanzitutto quella di restituire" gli ostaggi alle famiglie "raggiungendo un accordo, senza nuove condizioni o inutili ostacoli".
Al di là di questo, un'altra conseguenza gravissima dell'operazione potrebbe essere alle porte: l'effetto martirio. Anche i media, infatti, in queste ore non parlano di uccisione bensì di "martirizzazione". Un elemento che ora rischia di rafforzare il legame oscuro tra la Repubblica islamica, la Palestina e le forze di resistenza.
E se questa, a Gaza come in Cisgiordania, è una possibilità, da Teheran è già una promessa, sottoscritta dal ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani, commentando la notizia dell'uccisione del capo politico di Hamas.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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