“L’incapacità dell’esercito siriano e la velocità degli eventi sono stati sorprendenti”. Così il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha descritto in un’intervista televisiva l’avanzare degli insorti che nel fine settimana ha portato al crollo del regime siriano. Secondo quanto rivelato dal ministro di Teheran che ha incontrato Bashar al-Assad alla vigilia della caduta di Damasco, lo stesso dittatore si è detto “sorpreso” dallo stato delle forze armate del suo Paese e dalla mancanza di motivazione da loro dimostrata.
La fine della dinastia alawita che ha retto la Siria dal 1971 e il trionfo dei ribelli islamisti hanno però colto di sorpresa anche la Casa Bianca che, come sottolinea il Wall Street Journal, negli ultimi quattro anni non ha mai stilato una vera e propria strategia per il Paese mediorientale. “Sin dal primo giorno l'amministrazione Biden ha preso le distanze dalla questione siriana”, dichiara Charles Lister del Middle East Institute secondo il quale di conseguenza ”l’estensione e la profondità delle relazioni che l’America intrattiene con vari attori importanti sono diminuite nel tempo”.
Stando al resoconto fatto dal New York Times, Washington avrebbe cercato di rimediare a questa lacuna inviando negli ultimi giorni, e quindi quando l’avanzata degli insorti appariva ormai inarrestabile, messaggi ai ribelli ex qaedisti tramite il governo turco per ammonirli dal coalizzarsi con i terroristi dello Stato Islamico. Le risposte ricevute, come le dichiarazioni ufficiali rilasciate da Abu Muhammad al-Jolani, leader del gruppo ex qaedista Hayat Tahrir al-Sham (Hts), sono state rassicuranti ma funzionari e 007 americani sarebbero ancora impegnati a decifrare la vera natura dei miliziani islamisti.
Ne è ben consapevole Joe Biden che in un discorso alla nazione pronunciato nella giornata di ieri, pur manifestando soddisfazione per la caduta di Damasco, ha ricordato che “alcuni gruppi ribelli che hanno abbattuto Assad hanno i loro tristi precedenti di terrorismo e violazioni dei diritti umani”. Il presidente Usa ha riconosciuto che “per ora dicono le cose giuste... ma mentre si assumono maggiori responsabilità, valuteremo non solo le loro parole ma le loro azioni”.
I contatti indiretti con il gruppo ribelle sunnita, inserito dagli States nella lista delle organizzazioni terroristiche, si stanno sviluppando in parallelo a quelli ben più stretti con le milizie curde delle Forze democratiche siriane (Sdf). Washington, che nel Paese ha stanziato una forza militare composta da circa 900 soldati, avrebbe fornito a tali milizie informazioni riservate per permetterli di prendere il controllo di territori nella Siria orientale prima che possano farlo gli uomini dell’Isis. Vitale per gli Usa è inoltre garantire assistenza all'Sdf che vigila sui centri di detenzione nel nord-est del Paese dove sarebbero richiusi 9000 terroristi.
Che lo Stato Islamico rimanga in cima alle preoccupazioni americane lo dimostrano “le decine di attacchi aerei di precisione” appena sferrati dai B-52, cacciabombardieri F-15 e aerei A-10 contro 75 obiettivi legati ai terroristi dell’Isis nella Siria centrale. Confermando i raid il Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom) ha comunicato che l'operazione eseguita è "parte della missione in corso per danneggiare, degradare e sconfiggere l'Isis, al fine di impedire al gruppo terroristico di condurre operazioni esterne e garantire che esso non cerchi di approfittare della situazione attuale” per riempire i vuoti lasciati dalla caduta del regime di Assad.
Un altro rischio discusso in queste ore a Washington è che le milizie islamiste filoturche possano attaccare le forze curde osteggiate da Ankara nel nord della Siria.
Il ministero della Difesa Usa Lloyd Austin avrebbe già sentito il suo omologo turco per ribadire la necessità di evitare azioni che possano mettere in pericolo le truppe americane o le forze dell’Sdf. La situazione però è più fluida che mai e ancora una volta in Medio Oriente si naviga a vista.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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