"Non ci fidiamo di Trump". La Germania e il mistero delle riserve d'oro

Le mosse di Trump spingono il partito del prossimo cancelliere tedesco a valutare il rimpatrio dell'oro tedesco custodito negli Stati Uniti

"Non ci fidiamo di Trump". La Germania e il mistero delle riserve d'oro
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Il “giorno della liberazione” a suon di dazi senza precedenti proclamato il 2 aprile scorso da Donald Trump non smette di suscitare reazioni tra gli storici alleati degli Stati Uniti. Le decisioni dell'amministrazione repubblicana in realtà però sono studiate ormai da settimane nelle varie cancellerie e in Germania potrebbero portare presto ad un'importante contromossa. Esponenti della Cdu, il partito a cui appartiene il prossimo cancelliere Friedrich Merz, starebbero infatti valutando il ritiro di un'ingente riserva d’oro, del valore di oltre 110 miliardi di euro, al momento custodita in un caveau della Federal Reserve di New York.

A darne notizia sono la Bild e Politico Europe, i quali riportano che alcuni esponenti cristianodemocratici starebbero promuovendo tale iniziativa a causa dell’imprevedibilità del leader statunitense. Berlino conserva a Manhattan da decenni 1200 tonnellate della sua riserva aurea, la seconda più grande del pianeta dopo quella degli Stati Uniti, e già in passato in Germania c’è chi ha espresso la necessità di far ispezionare con regolarità l’oro custodito oltreoceano da funzionari tedeschi o di farlo recuperare interamente.

Tra i politici più impegnati su questo fronte c’è Marco Vanderwitz, ex ministro del governo tedesco, che già nel 2012 aveva cercato di rimpatriare le riserve e ha confermato che la questione “è stata sollevata di nuovo". Anche il suo compagno di partito ed eurodeputato Markus Ferber ha dichiarato che i rappresentanti della Banca centrale tedesca "devono personalmente contare i lingotti e dare conto dei risultati”.

A febbraio il presidente della Bundesbank Joachim Nagel ha provato a mettere a tacere le polemiche affermando durante una conferenza stampa che "abbiamo un partner affidabile e degno di fiducia nella Fed di New York per lo stoccaggio delle nostre riserve auree”. Un concetto che lo stesso Nagel ha ribadito pochi giorni fa sostenendo di avere “piena fiducia nei nostri colleghi della Banca centrale americana”.

Quello del ritiro dei lingotti, sottolinea Politico, è un tema tra i più cari ad “eccentrici e teorici della cospirazione”. Il dibattito in corso a Berlino è poi tanto più curioso se si considera che a Washington il capo della Casa Bianca e il responsabile del dipartimento dell’Efficienza governativa Elon Musk hanno espresso dubbi sull’esistenza di riserve auree a Fort Knox. Ad inizio marzo il 47esimo presidente Usa ha detto di voler verificare di persona se “l’oro americano, il leggendario oro, è ancora al suo posto” nella base militare nel Kentucky. Il segretario al Tesoro Scott Bessent ha nel frattempo assicurato che le riserve sono al sicuro.

Gli esperti prevedono che i dazi approvati da Trump potrebbero colpire duramente, tra le altre, l’economia della Germania. Ciò potrebbe accelerare la campagna per il rientro a Berlino dei lingotti. D'altra parte c'è anche un precedente: nel 2013 la Banca centrale tedesca, sotto le pressioni esercitate dai populisti di destra, rimpatriò tutto l’oro custodito sino a quel momento dalla Banca di Francia. La Bundesbank motivò tale decisione sostenendo di non avere più bisogno di mezzi per accedere alla valuta estera a Parigi considerata la moneta condivisa dai due Paesi.

A breve, l'istituto che ha sede a Francoforte potrebbe dunque ritrovarsi costretto ad intraprendere una strada simile a causa dell’uragano Trump. Una mossa che infliggerebbe un danno non da poco alla credibilità e all'affidabilità internazionale degli Stati Uniti.

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