Se da un lato la puntuale mediazione di Washington sembra aver "frenato", o almeno ritardato fino a data da definirsi, l'operazione terrestre pianificata dalle Forze di Difesa Israeliane, che già da una settimana si dichiarano "pronte ad invadere Gaza" via terra con 300mila uomini e molteplici brigate corazzate e meccanizzate già ammassate al confino con la Striscia, dall'altra il Pentagono continua a mobilitare uomini e asset difensivi/offensivi da schierare nelle proprie basi sparse per il Medio Oriente. La strategia a due livelli degli americani sembra puntare alla de-escalation senza perdere occasione per proiettare la sua potenza nella regione.
Mentre le due portaerei inviate da Washington come "garanti" dello Stato ebraico incrociano con gli strike-carrier group nel Mediterraneo e presto nel Golfo Persico - la Uss Gerald R. Ford e il suo gruppo d'attacco dovrebbero essere destinati lì dopo l'arrivo della Uss Dwight D. Eisenhower nel Mediterraneo - il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha comunicato un aumento di asset e posizioni delle forze armate statunitensi in tutto il Medio Oriente. Ciò comprende, oltre al già annunciata mobilitazione delle Forze Speciali, all'attivazione di una batteria di difesa missilistica Thaad (sistema antimissile a medio-corto raggio Terminal High Altitude Area Defense, ndr) e ulteriori batterie di sistemi di difesa Patriot che verranno dislocati a livello di brigata in località che non sono state menzionate nel dettaglio.
Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sembra dunque ritenere necessario lo schieramento di un "numero aggiuntivo di forze" come atto di prudenza. Aumentando il livello di "prontezza e capacità di rispondere rapidamente" per mantenere altro il livello di deterrenza ma anche come "forza di risposta" in caso di escalation. Questo mentre sembra lavorare con una certa efficacia a livello diplomatico nel processo di de-escalation, che ha infatti rimandato a data da definirsi l'annunciata "invasione" della Striscia di Gaza.
Un'operazione terrestre su vasta pianificata all'interno dei piani di Swords Of Iron che l'Aman, l'intelligence militare israeliano, sembra aver già progettato nei dettaglia ma che tarda a ricevere l'ordine di inizio da Gerusalemme. Complici forse la complessità e la consapevolezza da parte dei generali israliani di infilarsi in un ginepraio che causerebbe numerose perdite tra le fila del loro esercito; che invece si limita a piccole incursioni per raccogliere informazioni in territorio nemico ed eliminare obiettivi di alto valore.
In questo contesto non si placano invece i raid aerei israeliani che colpiscono anche obiettivi militari di Hezbollah e aeroporti usati come vie di rifornimento in Libano e Siria. Nella giornata di domenica dei carri armati israeliani hanno colpito con i loro cannoni anche un avamposto militare egiziano nei pressi del valico della frontiera di Kerem Shalom. Tutto ciò non ha potuto fare a meno di allertare i funzionari della Difesa statunitense che temono un allargamento del conflitto in tutta la regione.
“Non vogliamo vedere le nostre forze o il nostro personale finire sotto il fuoco. Ma se ciò dovesse accadere, siamo pronti”, ha spiegato il segretario di Stato statunitense Antony Blinken reduce dalla visita la premier israeliano Benjamin Netanyahu.
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