Bombardieri, marines e missili: il fortino Usa per la guerra nel Pacifico

Gli Stati Uniti rafforzano la loro presenza militare in Australia per trasformarla in una gigantesca base da cui muovere contro la Cina in caso di un conflitto per Taiwan

Bombardieri, marines e missili: il fortino Usa per la guerra nel Pacifico
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Se vuoi la pace preparati alla guerra. È questa la celebre massima rispolverata dagli strateghi militari di Washington che, ritenendo sempre più concreta l'eventualità che la sfida con Pechino sia vicina al punto di non ritorno, stanno rafforzando la presenza degli Stati Uniti in Australia. A giudicare dalle provocazioni crescenti dell'erede del Celeste Impero non è infatti più possibile escludere che la Cina muova presto contro Taiwan o provochi un’escalation incontrollata nel Mar Cinese Meridionale.

Un conflitto nell'Oceano Pacifico si presenterebbe con caratteristiche ben diverse da quelle sperimentate dagli Usa e dai suoi alleati dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Le complessità legate alla gestione del sostegno a Kiev impallidirebbero di fronte ad una crisi che avrebbe luogo in un’area considerata il proprio cortile di casa dal Paese del dragone. Non stupisce dunque che il Pentagono stia già lavorando a dei piani che permettano di supportare Taipei, difendere le infrastrutture militari Usa nella regione dagli attacchi cinesi e mantenere in piedi una rete logistica senza precedenti. Il tutto organizzando un’efficace controffensiva.

Per Washington ad essere in ballo non è solo la difesa di Taiwan ma l’intero ordine di sicurezza concepito dagli States all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. In quest'ottica potenziare l’Australia, paragonata ad un’inaffondabile gigantesca portaerei naturale, rappresenta l’unica realistica soluzione per riequilibrare i progressi bellici compiuti dal gigante asiatico sotto la presidenza imperiale di Xi Jinping e ridurre lo svantaggio geografico detenuto dagli Usa.

Il Pentagono sta dunque inviando migliaia di soldati e costruendo basi nel Paese dell’emisfero australe quasi del tutto fuori dal raggio di azione dei missili in dotazione all’Esercito popolare di liberazione (Elp). È in particolare nei territori settentrionali, ma non solo, che si sta concentrando la presenza militare a stelle e strisce. Nella base aerea di Tindal sono in corsi dei lavori di ampliamento delle piste di atterraggio per ospitare sino a sei bombardieri B-52, velivoli in grado di trasportare testate nucleari, mentre a Darwin sono dislocati circa 2000 Marines.

Oltre a tali strutture, altri siti chiave sono situati a Bandiana, nel sud-est australiano, dove gli americani continuano a stoccare gli equipaggiamenti bellici e all’estremità occidentale del Paese, nella base HMAS Stirling, dove sottomarini nucleari Usa cominceranno presto a stazionare. Le sterminate dimensioni dell’Australia permettono a Washington di disseminare avamposti militari ad ampia distanza tra loro, una circostanza che rende impossibile il loro totale annientamento da parte delle forze nemiche.

Nessuno vuole una guerra con la Cina”, dichiara al Wall Street Journal il comandante dei Marines Brian T. Mulvihill precisando che gli Stati Uniti intendono esercitare una funzione di deterrenza contro le minacce alla stabilità nella regione. In caso di conflitto con Pechino la dispersione di soldati ed equipaggiamenti in Australia permetterebbe però a Washington di sfuggire ai contrattacchi cinesi e di organizzare una risposta efficace e agile che bilanci la vulnerabilità delle basi Usa in Giappone, Corea del Sud e sull’isola di Guam riducendo lo svantaggio in termini geografici detenuto dalle infrastrutture degli States presenti sulle isole Hawaii e in California.

Al cuore di tutti gli sforzi americani rimane la gestione della logistica e dei

rifornimenti. “Non è necessario distruggere un battaglione di carri armati se puoi impedire che ricevano carburante e munizioni”, ricorda l’analista Colin Smith. È tutta qui la vera sfida di una guerra nel Pacifico.

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