"Possibili misure contro Israele". È scontro acceso tra Biden e Netanyahu

Relazioni tra Stati Uniti e Israle vicine al punto di rottura. La Casa Bianca contraria all'operazione a Rafah annunciata dal premier israeliano Netanyahu

"Possibili misure contro Israele". È scontro acceso tra Biden e Netanyahu
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Stati Uniti ed Israele in rotta di collisione. Le relazioni tra i due storici alleati, già sotto pressione sin dall’inizio dell’operazione lanciata da Tel Aviv nella Striscia di Gaza contro i terroristi di Hamas, rischiano di raggiungere un clamoroso punto di rottura. Infatti, dopo mesi di pressioni esercitate dalla Casa Bianca al fine di ottenere un “contenimento” della risposta militare dell’Idf e una riduzione delle vittime tra i civili, funzionari Usa riportano ad Axios che l’annunciato ingresso dell’esercito dello Stato ebraico a Rafah potrebbe determinare una risposta senza precedenti da parte degli americani.

Biden e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non si parlano dal 15 febbraio e nel corso del loro ultimo colloquio telefonico il presidente statunitense ha avuto modo di esprimere la massima preoccupazione per la prossima fase dell’operazione di Tel Aviv nella Striscia. Più di recente i due leader hanno poi espresso pubblicamente le loro posizioni inconciliabili. Lo scorso fine settimana Biden ha affermato ad Msnbc il no assoluto degli Usa rispetto a nuove iniziative definendo l’invasione di Rafah come la “linea rossa” della sua amministrazione. Bibi ha invece risposto dichiarando che “la nostra linea rossa è che il 7 ottobre non si ripeta”. C’è da rilevare comunque che il vecchio Joe sembrerebbe aver già fatto una parziale retromarcia su un’espressione per cui in passato i suoi predecessori – da Obama con la Siria a George W. Bush con l’Iran e la Corea del Nord - hanno raccolto numerose critiche.

Linea rossa oppure no, gli States si preparano al peggio. “Se Netanyahu decidesse di sfidare Biden e di procedere con l’operazione ci sarà uno scontro” fanno sapere fonti anonime Usa. E per Axios, anche se Washington non avrebbe ancora stabilito ufficialmente come rispondere, la Casa Bianca, il dipartimento di Stato e il Pentagono starebbero discutendo di possibili restrizioni all’utilizzo di armi americane da parte dell’esercito israeliano nella Striscia. Un’altra opzione al vaglio sarebbe quella di far passare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite una risoluzione a favore di un immediato cessate il fuoco. Una misura su cui gli Stati Uniti hanno posto il veto tre volte dall’inizio del conflitto.

L’amministrazione Biden, alle prese anche con malumori interni al partito democratico per il sostegno a Tel Aviv, ha smentito le indiscrezioni pubblicate dai media. Appare però evidente che, a partire dall’annuncio di un porto temporaneo al largo di Gaza per fornire aiuto alla popolazione palestinese, gli States abbiano deciso di sganciarsi dal premier israeliano pur confermando in parallelo la vicinanza ad Israele e alla sua lotta contro Hamas.

Un esempio dei limiti di questa strategia è emerso in questi giorni quando è stato pubblicato un report dell’intelligence Usa che sostiene come la coalizione di destra guidata da Netanyahu sia “in pericolo” e che ci sia la possibilità di “un diverso e più moderato governo”.

L’inconsueta diffusione di una valutazione sulla situazione politica interna di un Paese alleato ha infatti sollevato proteste da parte di funzionari israeliani. Per questo motivo, anche se l’eventuale ingresso dell’Idf a Rafah non sarebbe dato per imminente, le tensioni tra le due nazioni sono destinate ad aumentare.

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