Attacchi informatici, dazi e risorse strategiche: la strategia di Pechino per affrontare Trump

Dalla politica commerciale alle relazioni con l'estero la Cina sembra già aver messo in campo alcune strategie per rispondere al ritorno di Trump alla Casa Bianca

Attacchi informatici, dazi e risorse strategiche: la strategia di Pechino per affrontare Trump
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Ad una settimana esatta dall’insediamento del presidente eletto Donald Trump, onde sismiche generate dall'imminente ritorno del tycoon alla Casa Bianca sono state già registrate lungo diverse faglie geopolitiche. Se le ultime settimane hanno visto The Donald minacciare l’uso della forza più contro i suoi alleati della Nato che contro gli avversari storici degli Stati Uniti, ci si attende che a breve il prossimo commander in chief torni ad attaccare il suo nemico preferito: la Cina.

Il leader di Pechino, Xi Jinping, è consapevole della minaccia che si staglia all’orizzonte. Ancora vivo è il ricordo della guerra commerciale scatena da Trump, al tempo del suo primo mandato, contro l’erede del Celeste Impero. Anche gli operatori economici fiutano il pericolo. Stando ai dati appena pubblicati dalle autorità del Paese del dragone, l’export cinese a dicembre è cresciuto del 10,7% su base annua, un boom superiore alle attese trainato dai timori delle aziende per un possibile aumento dei dazi ventilato spesso dallo stesso miliardario.

Questa volta, a differenza di quanto avvenuto tra il 2017 e il 2021, pare che il presidente Xi non si sia fatto trovare impreparato. Infatti, in risposta all’espansione da parte di Joe Biden della lista di tecnologie che le aziende americane non possono esportare in Cina, Pechino ha imposto sanzioni contro 13 aziende Usa del settore della difesa, ha aperto un’indagine su Nvidia accusando il colosso californiano produttore di microchip di aver violato le leggi antitrust e ha impresso una stretta alla vendita agli Stati Uniti di alcuni minerali rari citando ragioni di sicurezza nazionale.

Tali iniziative, spiega l’analista di Trivium China Joe Mazur, sono una “chiara indicazione, in particolare per la nuova amministrazione Trump”, che il gigante asiatico non si limiterà ad assorbire qualsiasi “repressione economica” imposta da Washington. Wang Yiwei, esperto di affari internazionali presso la Renmin University di Pechino afferma che “il messaggio della Cina è molto chiaro” aggiungendo che se il prossimo inquilino della Casa Bianca avvierà una guerra commerciale i cinesi risponderanno colpendo le catene logistiche e i costi di questo scontro saranno così sostenuti “da entrambi i mercati”. Xi Jinping non ha esitato a esprimersi sull’argomento dichiarando che le guerre tariffarie e tecnologiche “sono contrarie alle tendenze storiche e ai principi dell’economia e nessuno ne esce vincente”.

Il confronto tra le due superpotenze non è confinato solo al piano degli scambi commerciali. Le nomine di falchi anticinesi annunciate da Trump – tra queste Marco Rubio come segretario di Stato e Mike Waltz come consigliere per la Sicurezza nazionale - lasciano pochi dubbi. Anche in questo caso la Cina non intende restare a guardare. Lo dimostrano la presentazione dei prototipi di nuovi caccia di sesta generazione, le massicce incursioni di navi da guerra nelle acque attorno a Taiwan e l’approvazione di restrizioni sui visti a funzionari statunitensi accusati di aver interferito negli affari di Hong Kong. L’assertività di Xi Jinping trova poi espressione nella crescente aggressività degli attacchi informatici, seppur negati ufficialmente, condotti dagli hacker della Repubblica Popolare ai danni delle infrastrutture critiche e ai network delle telecomunicazioni degli Stati Uniti.

Inoltre, scrive il Washington Post, la Cina è al lavoro per sfruttare le crepe nel potere americano che potrebbero derivare dall’imprevedibile politica estera di Trump. Esempi di questa strategia adottata dall'erede del Celeste Impero sono il benvenuto dato all’Indonesia entrata nel club dei BRICS, il corteggiamento dei Paesi del cosiddetto Sud globale e persino il ramoscello di ulivo teso al Giappone. Ad ogni modo una porta nel dialogo tra le due superpotenze potrebbe essere ancora aperta. Nel corso di un’intervista Trump ha detto di essere in contatto, tramite i suoi consiglieri, con il leader cinese con il quale prevede, “probabilmente”, di andare "molto d’accordo".

Il ministero degli Esteri di Pechino ha commentato le parole del presidente eletto definendole di ”grande importanza” per la Cina. Le autorità del Paese del dragone sanno che la volubilità del tycoon è un fattore di cui tenere conto ma essa, comunque, non spaventa più come un tempo.

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