"L'Europa non può affidarsi a Pechino, ma non può fare a meno delle sue merci"

Il prorettore del Politecnico, Giuliano Noci: "Il patto con gli States regge, però Washington è poco interessata a noi"

"L'Europa non può affidarsi a Pechino, ma non può fare a meno delle sue merci"
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«L'Europa si è ritrovata come un grande vaso di coccio in mezzo a due di ferro, gli Usa e la Cina. Per questo deve riflettere su se stessa e cercare di capire che cosa vuole essere in futuro», spiega al Giornale Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano ed esperto di Cina. Secondo il professor Noci, quella scatenata da Donald Trump contro Pechino non è una guerra commerciale, è una guerra geopolitica per il dominio del mondo, e da questo punto di vista la conseguenza è che l'Europa ha ormai perso di centralità per gli Usa.

Quindi non possiamo più far conto sullo Zio Sam?

«Questo non vuol dire naturalmente non tenere conto del fatto che abbiamo un sistema di valori ancora simile, anche se gli Stati Uniti con Trump stanno virando verso una forma autocratica pericolosa. Il patto atlantico è certamente importante per noi, ciononostante gli interessi non sono analoghi e soprattutto l'America non guarderà con la stessa attenzione all'Europa nel futuro».

Ma può l'Europa mettersi nelle mani dei cinesi?

«Evidentemente la risposta è no. Il problema è che l'Europa non può fare a meno dei cinesi, del resto nemmeno gli Stati Uniti. Nel senso che i cinesi sono il nucleo centrale di una serie di catene di fornitura per cui oggi su domani, se chiudessimo i rapporti

con Pechino, comincerebbe a mancarci la merce sugli scaffali, dobbiamo essere realisti. Il livello di interconnessione in cui ci troviamo oggi è troppo elevato e quello cinese resta comunque un mercato molto importante per chi come noi ha bisogno di esportare. Ma l'Europa non può considerare la Cina come il nuovo alleato e buttarsi nelle braccia del Dragone. Non lo può fare per un tema di sistema di valori. La Cina la conosciamo bene, non c'è democrazia. Forse l'Europa in questo momento è l'ultimo bastione democratico rimasto, perché gli Stati Uniti stanno diventando come la Cina. Quindi non dobbiamo chiudere le porte a Est ma non possiamo certo pensare che Pechino sia il salvatore dell'Europa».

Cosa deve fare per non rompere il vaso?

«L'Europa è a un bivio. E farla diventare davvero un soggetto politico unitario è impensabile. Una strada che potrebbe percorrere, e che io personalmente auspico, è che si riescano a trovare dei meccanismi per cui venga avviata una qualche architettura federale. Perché di fronte a questi colossi, i singoli stati membri non sono in grado di competere. Quindi occorre fare economie di scala su una serie di partite. Questa è una strada che per essere attuata. Ma richiede all'Europa un bagno di realismo notevole. Ovvero prendere atto che un'Europa a 27 non funziona. E non funziona quantomeno con questi meccanismi per cui per alcuni provvedimenti strategici viene richiesta

l'unanimità. Quindi, o togli l'unanimità su alcune decisioni, oppure, anziché essere un'Europa a 27, è meglio un'Europa più ristretta ma compatta che vede Francia, Germania, Italia, Spagna tutte unite».

In entrambi i casi significa, sostanzialmente, cambiare governance?

«Assolutamente. E cambiare anche la matrice culturale alla base dell'azione dell'Antitrust Ue che in passato ha più volte impedito, o quantomeno ostacolato, operazioni di fusione che avrebbero dato vita a campioni europei. C'è un'elevata frammentazione di mercato che rende molto difficile fare quegli investimenti su larga scala che sarebbero necessari per affrontare, ad esempio, la grande sfida dell'intelligenza artificiale. Negli ultimi vent'anni in Europa abbiamo operato in modo sostanzialmente astratto e non tenendo conto che siamo un sistema aperto che interagisce con altri sistemi».

Tornando al bivio, quale è l'altra strada alternativa?

«Purtroppo è la balcanizzazione, la frantumazione che arriverà dai due vasi di ferro. Perché da un lato Trump spingerà la separazione e dall'altro la Cina, insieme alla Russia, spingeranno e ammiccheranno ai singoli Stati membri».

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