Come già ha evidenziato Riccardo Canaletti su queste colonne, è davvero un risultato straordinario quello ottenuto da Javier Milei, che in Argentina è riuscito ad abbattere un'inflazione che solo un anno fa era a livelli altissimi. Non si tratta di un semplice successo economico, però, dato che l'aumento dei prezzi conseguente alla creazione di denaro produce devastazioni da vari punti di vista. Quando c'è inflazione, infatti, la moneta smette di funzionare come «numerario». Se una valuta ci aiuta a misurare sul piano economico questo o quel bene e servizio, in caso di inflazione è come se si avesse un metro di dimensioni mutevoli; e ciò ostacola in vari modi la vita produttiva. Come se non bastasse, in presenza di inflazione ognuno è meno motivato a risparmiare, dato che i suoi depositi sono erosi nel corso del tempo. Non è però immaginabile un'economia dinamica in assenza di quei capitali necessari agli investimenti. In fondo, l'accumulo di risorse finanziarie è un «consumo differito»: si rinuncia a spendere qualcosa oggi in vista di spese consistenti più in là nel tempo, come quando un lavoratore dipendente mette da parte soldi in vista dell'avvio di una sua attività imprenditoriale. Perché questo avvenga, però, il denaro non deve essere consumato dal semplice scorrere dei giorni.
L'inflazione è inoltre una forma di imposta, seppure occulta e mai discussa nelle aule parlamentari. Quando la banca centrale moltiplica il denaro in circolazione e di conseguenza il mio conto corrente s'assottiglia (i valori nominali non mutano, ma il potere d'acquisto sì), tutto ciò avviene perché qualcuno se ne avvantaggia. In definitiva, come spiegò Richard Cantillon più di due secoli fa, i primi consumatori del nuovo denaro hanno a disposizione una valuta buona, mentre gli ultimi un denaro che ha perso la sua forza, perché molti hanno ormai percepito che la quantità di denaro è aumentata. In genere i primi sono quelli che sono più vicini al potere e i secondi quelli che sono più lontani. Oltre a ciò, l'inflazione tende a moltiplicare le tensioni sociali. Molti ricorderanno i conflitti del lavoro nell'Italia degli anni Settanta e allora una delle cause
fu l'aumento dei prezzi. In una fase segnata da inflazione nessuno può accettare che il suo salario resti sempre lo stesso: da qui la conflittualità crescente. E lo stesso può dirsi per i canoni di locazione e per altre forme di contratto. In definitiva, una moneta che perde valore incentiva taluni comportamenti e perturba le relazioni sociali. Anche nell'Italia di oggi, in fondo, l'inflazione sta premiando gli indebitati (che dovranno restituire capitali deprezzati) proprio mentre penalizza i risparmiatori, così che si moltiplicano le cicale a danno delle formiche.
Non è però su queste basi che una società può crescere.Esattamente per questo motivo l'economista Wilhelm Röpke parlava dell'inflazione come di una malattia morale e spirituale; e per la stessa ragione fa bene Milei a combatterla con tanta forza.
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