
L'uomo più potente della terra non è Donald Trump, né tantomeno Vladimir Putin ma è decisamente Xi Jinping. Il leader cinese, uomo dall'aspetto apparentemente conciliante, governa una nazione di oltre un miliardo e quattrocento milioni di cittadini, che non è solo una potenza demografica ma è diventata un gigante industriale e ora anche tecnologico. Mao Tse-tung ebbe un grande potere ma governava una nazione poverissima, in preda a continue carestie.
Xi Jinping ha inserito il suo pensiero in costituzione e ha eliminato il limite dei due mandati che fu introdotto da Deng Xiaoping per evitare che si riproducesse un potere autocratico come con il maoismo. Oggi il «nuovo Mao» riassume nelle sue mani la triade del potere cinese: presidente della Repubblica Popolare Cinese, segretario generale del Partito Comunista Cinese, presidente della commissione militare che significa capo delle forze armate. In teoria potrebbe rimanere a vita alla guida della Cina. Negli anni Settanta e Ottanta, quando dopo la cosiddetta diplomazia del ping pong, voluta da Nixon e Kissinger, la Cina divenne oggetto di reportage eravamo abituati a vedere le città attraversate quasi esclusivamente da biciclette, senza grattacieli. Il radicale mutamento del paesaggio urbano delle metropoli cinesi offre, più delle tante statistiche, il senso dell'ascesa economica cinese.
Il «miracolo economico», l'emergere come potenza industriale manifatturiera, è stato possibile grazie a una concorrenza sfrenata resa agevole da alcuni fattori: la manodopera a basso costo in spregio ad ogni normativa sulla tutela dei lavoratori; la quasi totale assenza di regole ambientali, rispetto a quelle onerose che devono rispettare i produttori occidentali; l'intervento di capitali pubblici a sostegno delle imprese che spesso sono statali.
La Cina aderì al Wto, l'organizzazione mondiale del commercio, nel 2001, in condizioni di assoluto privilegio, classificata come economia «non di mercato» che in quanto tale non era tenuta a rispettare le regole sugli aiuti di Stato. Da allora, grazie alle esportazioni, alla capacità di inondare il mondo di prodotti a basso costo, il Pil cinese è diventato quindici volte superiore. L'Occidente fece questo sacrificio perché si illuse che con l'economia di mercato in Cina si sarebbe aperto un processo graduale verso la democrazia e le libertà individuali. Invece, è accaduto l'esatto contrario, il mercato ha prosperato ma il partito ha rafforzato il suo controllo autoritario sulla società. Xi Jinping ha detto a chiare lettere che la democrazia non è un valore e la tecnologia sta diventando lo strumento per un più capillare controllo sui cittadini al fine di evitare ogni forma di dissenso. Per alimentare la sua industria e le sue esportazioni, la Cina, non solo inquina, ma ha messo a punto un piano di espansionismo globale, con l'accaparramento delle materie prime in Africa e l'acquisizione di scali portuali in Occidente. Non ultima la cosiddetta «via della seta», che è la suggestiva formula con cui la Cina ha vestito i suoi piani tentacolari. Grazie alla globalizzazione la Cina ha accumulato un costante attivo commerciale con gli Stati Uniti e con l'Europa, la sua economia non cresce più ai livelli della prima parte del secolo ma alla quantità punta sostituire la qualità attraverso un grande balzo tecnologico (il termine balzo appartiene al lessico del Partito Comunista Cinese). Non è un caso che ogni anno ottocentomila giovani conseguono una laurea in ingegneria o altre materie scientifiche. Altro punto delicato è quello della reciprocità, la Cina può liberamente investire in Occidente, fare shopping di aziende, impossessarsi di brevetti, ma lo stesso non è concesso agli stranieri sul suo territorio. Da qualche anno Pechino non si accontenta di essere una potenza economica, lo vuole essere anche da un punto di vista politico militare: il budget per la difesa ha avuto un forte incremento, si punta a modernizzazione l'arsenale nucleare, a dotarsi di una marina militare in grado di proiettarsi a distanza, ad avanzare nelle tecnologie satellitari ad uso bellico. Pur in presenza di questo scenario, è impossibile non trattenere relazioni economiche con la Cina ma non è altrettanto rinviabile una ridefinizione dei rapporti imponendole di partecipare al mercato alle stesse condizioni degli altri. Per troppo tempo l'Occidente ha fatto finta di non vedere sacrificando i propri interessi.
Ora che gli Stati Uniti hanno imposto dazi alla Cina, sia pur con una marcia indietro in alcuni settori tecnologici, l'Europa rischia di essere sommersa dalle merci cinesi. Sarebbe un errore se, per fare un dispetto a Trump, Bruxelles si consegnasse ad una dipendenza commerciale da Pechino ancora più marcata piuttosto che dotarsi di un'autonoma politica industriale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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