Ora destra e sinistra escano dal Novecento

Prigionieri di un secolo

Ora destra e sinistra escano dal Novecento
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Novecento, esci da questo corpo. Non se ne può davvero più. Il fascismo, il saluto romano, le stragi di Stato, la resistenza inflazionata, gli antifascisti in televisione, Pol Pot e la Cambogia, i meravigliosi anni '70, quel che resta degli '80, sapore di mare e vacanze di Natale, l'insostenibile goffaggine dei «boomer», le nonne con le minigonne, la riscoperta di Marcuse, la scuola gramsciana, Primo Carnera e i treni che arrivavano in orario, i morti vostri e i morti loro, la quinta esposizione universale di Parigi e perfino Pasolini. No, non è un invito a cancellare il passato, ma una preghiera per liberarsi dalle sabbie mobili dove per un incantesimo della storia siamo finiti. Ci sarà un domani da qualche parte, adesso che è stato quasi consumato il primo quarto di secolo del nuovo secolo, del nuovo millennio. Doveva essere questo il Duemila? La raccolta differenziata di tutte le scorie d'odio irrisolte del vecchio secolo troppo denso e per nulla breve. Tutti lì con mani troppo grezze per fare i conti con il passato a rivendicare, restaurare, correggere, sacralizzare, puntando il dito contro i peccatori, gli eretici e i senza casta. La politica è uno sguardo a ritroso, la passione intellettuale è l'indignazione dei sacerdoti dell'ortodossia della «storia certificata», della «scienza certificata», della «filosofia certificata». Il dubbio no, quello è figlio di nessuno. Ci vuole fortuna ormai per leggere o ascoltare la parola forse. Il «può darsi» è una debolezza. Il futuro si fa sempre più remoto e il presente scolora così in fretta da non ricordarti cosa sia successo un mese fa, ma in compenso tutti sembrano ricordare minuto per minuto cosa accadde nel 1978 o nel 1943. In realtà si sono limitati a imparare a memoria il bignami dei piccoli maestri o il catechismo degli onori perduti. Era più divertente la storia a fumetti.

Novecento per favore esci da questo tempo che non ti appartiene, troppo blando e superficiale, con una miniera di opportunità che siamo troppo meschini per saperla non solo gestire ma perfino vedere, andando avanti con frammenti di discorso politico, orecchiato e gettato via, navigando soltanto in orizzontale, per dare alle masse un nuovo tormentone da cavalcare, con cui si scannano e fanno tendenza, senza mai andare in profondità, senza mai neppure sapere perché. È il paradosso e la maledizione del secolo turbolento, che nessuno poteva immaginare che nella sua forma sintetica e propagandistica potesse diventare rassicurante. Il Novecento che si era illuso di ammazzare Dio portato a spasso come una fede. Siamo così impauriti che ci rifiutiamo di guardare avanti?

Il passato è una guida e un orizzonte, ma solo se non lo banalizzi, lo fai incancrenire con formule liturgiche e protocolli ufficiali. Il peggio poi è nelle viscere. Il Novecento disidratato come una rivincita. La rivincita della sinistra dopo il 1989 quando per almeno un paio di lustri si è sentita smarrita, con la caduta del Muro e soprattutto della grande utopia, quando l'unica cosa che restava in piedi era il volto di Berlinguer e la questione morale. Allora ci si è aggrappati al nemico eterno. L'unica identità è sentirsi anti qualcosa, senza più sapere cosa si è. Fino a rievocare il fascismo, cercando di renderlo più reale possibile, convincendosi di essere, con una certa presunzione, figli legittimi di Matteotti. Antifascisti di un fascismo da immaginare.

La rivincita anche della destra, che arriva al governo e si lascia impantanare dal passato, giocando al gioco degli altri, rispondendo al surreale con il surreale, rigiocando una partita già chiusa. Tutto per sfidare l'altra cultura non su quello che sarà ma su quello che è stato. È la destra del futuro anteriore, che detto senza fronzoli è un'occasione persa.

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