"Abbiamo paura d'intervenire: così rischiamo spese e condanne"

Storie di forze dell'ordine finite in incubi giudiziari soltanto perché hanno svolto il proprio lavoro

Scontro tra antagonisti e polizia a Roma
Scontro tra antagonisti e polizia a Roma

Si chiama Pasquale Griesi, è in polizia da vent'anni. Oggi è il segretario dell'Fsp, sindacato di Polizia. Racconta un fatto di circa dieci anni fa.

«Milano, zona stazione centrale, trovo un ragazzino che sta dando dei calci a un autobus in movimento: manca poco che s'ammazza. Intervengo. Lo fermo. Dall'altra parte della strada sento urlare una donna infuriata: Razzista, fascista, abuso di potere. Il ragazzo era extracomunitario, minorenne. Io non rispondo. Questa si avvicina si mette in mezzo tra me e il ragazzino e gli grida: Scappa, corri!!. Cerco di calmarla, le chiedo i documenti. Non ce l'ha. Continua ad insultarmi. Decido di denunciarla per oltraggio e interruzione di pubblico servizio. Siccome non posso identificarla sono obbligato a portarla in caserma. Ci vuole un po' di tempo per identificare una signora senza documenti. Passano circa sei ore. Finite le pratiche se ne torna a casa. Trascorre un mesetto, procedimento archiviato. Che vuol dire archiviato? Che il magistrato ha stabilito che insultare un poliziotto e poi intromettersi nel suo lavoro cercando di far scappare un fermato è un comportamento del tutto legittimo. Ok. Passa un altro mese e la signora mi denuncia. Indagato per abuso di ufficio. Dicono: voi l'avete portata in caserma per punirla, non per identificarla. Si va a processo. Pago di tasca mia le spese. Primo grado. La Procura stessa chiede l'assoluzione. Il tribunale invece mi condanna. Pesantemente. Dieci mesi di prigione più un anno di interdizione, più le spese, circa 10 mila euro. Si va in appello. La Procura generale osserva: Noi abbiamo condannato un poliziotto perché ha fatto il suo lavoro. I giudici mi assolvono. La signora ricorre in Cassazione. Perde di nuovo e viene condannata a pagare le spese per la Cassazione. Ma le spese dei primi due gradi restano a carico mio. Il ministero me ne ha rimborsate sì e no la metà. Circa 10 mila euro. Questa è la mia esperienza». Gli chiedo se serve lo scudo penale proposto dal governo. Mi risponde: «Certo che serve. Serve a impedire che i poliziotti siano vittime del loro dovere. Tu devi capire che noi poliziotti spesso ci troviamo a prendere le nostre decisioni in pochi secondi. Non hai tempo di pensare. Devi scegliere di impulso la cosa giusta da fare quando ti trovi un energumeno che ti punta un coltello alla gola». Giampiero Calabrese invece è un avvocato di Cosenza. Si occupa soprattutto della difesa dei poliziotti e dei carabinieri. Gli chiedo se serve lo scudo. Mi risponde di sì. «Voi dovete capire che oggi un agente o un carabiniere ha paura di intervenire, perché pensa a quello che può succedere, e pensa alla possibilità di essere indagato e di essere condannato. Come si fa a lavorare bene in queste condizioni? Per questo serve uno scudo penale. Scudo penale non vuol dire che ci sono due giustizie diverse. Una per la polizia e una per i cittadini normali. No. La giustizia è una sola. Soltanto le procedure per l'iscrizione nel registro degli indagati sono diverse. Perché per un poliziotto essere iscritto in quel registro è un disastro. Allora che faccio, io pm? Apro l'indagine, ma contro ignoti. Tutto legittimissimo. Questo è lo scudo». Gli chiedo di raccontarmi qualche storia di suoi assistiti. Mi parla di due ispettori di polizia di Cosenza. Si sono trovati a dover fronteggiare uno straniero che li aggrediva. «Hanno dovuto usare lo spray al peperoncino e sono stati denunciati. La loro fortuna è che uno di loro aveva la body cam e così ha potuto dimostrare come sono andate le cose. E c'è stata la archiviazione. Gliene racconto un'altra. Un poliziotto fa una indagine sotto copertura (è alto due metri e pesa cento chili). Scopre che c'è un traffico di stupefacenti in un certo luogo. Lo scopre perché glielo dice un informatore. Una donna. Succede che il delinquente si accorge che la donna ha continui rapporti telefonici con l'agente. Si insospettisce. La donna, per coprirsi, sostiene che questo è il suo amante. Allora il delinquente le dice: lo devi denunciare per stalking. La donna accetta e denuncia.

La Procura fa il decreto di giudizio immediato. Senza indagare, senza approfondire. Ho dovuto fare indagini difensive per dimostrare come sono andate le cose. Alla fine lui ha avuto l'assoluzione. Ma prima ha avuto un infarto».

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