Il timore per la foto di famiglia con la bandiera israeliana e le origini ebraiche. I canali giusti e mantenuti nel tempo di servizi segreti e diplomazia nei gangli del potere iraniano. La necessità degli ayatollah di trovare una sponda in Europa, dopo i ferri corti con la Germania, per passare messaggi ai nemici americani e israeliani. L'interesse strategico di Teheran su nucleare e sanzioni per trovare una via d'uscita dall'impasse. Questi sono i retroscena che hanno portato alla liberazione di Alessia Piperno in meno di un mese e mezzo. In prima linea la Farnesina, l'ambasciata a Teheran, l'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise) e il coordinamento del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), a stretto contatto con Palazzo Chigi.
«Si rischiava, con i dovuti distinguo, un caso Regeni 2» spiega una fonte del Giornale coinvolta nella liberazione. «La sera del suo compleanno Alessia stava andando a una specie di guest house per festeggiare con alcuni amici, compreso un polacco, un francese e un'iraniana - racconta una fonte dell'intelligence - Mentre entravano è stata fermata da agenti in borghese». La preoccupazione iniziale era «l'origine ebraica e la foto con i familiari e la bandiera israeliana. Sapevano già tutto. L'hanno interrogata a lungo, senza vessazioni, e chiesto subito se lavorasse per i servizi. Lei è stata intelligente a non nascondere di essere ebrea».
La Farnesina è riuscita a convincere la famiglia che il modo migliore per riportare Alessia a casa era il silenzio. Niente martellamento mediatico o manifestazioni di piazza con striscioni e ciocche di capelli tagliate, simbolo della rivolta delle donne iraniane. Una mano in tal senso l'ha data la comunità ebraica, comprendendo subito che cavalcare la storia sarebbe stato solo dannoso per la prigioniera. I post di Alessia pro manifestazioni non erano d'aiuto, ma la linea del governo «sobria e sotto traccia è stata molto utile». Una delle fonti del Giornale ammette «che all'inizio sembrava un'impresa impossibile. Ci sono decine di occidentali dietro le sbarre in Iran dall'inizio delle proteste. Nessuno è stato liberato».
L'Italia non si è tirata indietro sulle sanzioni e le condanne della repressione del G7, ma l'Iran «ci considera più pragmatici» sostiene un'altra fonte riservata del Giornale. «Non facciamo parte del cosiddetto P5+1 sul nucleare iraniano, ma Teheran, che ha sempre puntato sulla Germania, adesso è ai ferri corti con Berlino» sottolinea la fonte. Sul suolo tedesco, grazie alla comunità in esilio di curdi e iraniani, vanno in scena le proteste più massicce contro gli ayatollah. La ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, è una nota femminista durissima con Teheran. «Gli iraniani si sentono isolati e vorrebbero un nostro maggior coinvolgimento sul tema scottante del nucleare» spiega una terza fonte del Giornale. Il lungo e tribolato negoziato ruota attorno a Vienna, sede dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica. A Teheran non sfugge che il numero due dell'Aiea è l'italiano Massimo Aparo, già capo della task force sull'Iran.
«Gli iraniani ci percepiscono come il paese europeo più aperto ad ascoltare e meno antagonista» fa notare la fonte. Gli ayatollah hanno pure bisogno «di qualcuno che veicoli i loro messaggi ad americani e pure israeliani». Anche l'esordio in Italia di una donna premier con un nuovo esecutivo ha «reso possibile l'impossibile. Liberare in poco tempo una connazionale ebrea dall'Iran», fanno notare dai piani alti della diplomazia.
Pochi giorni fa «i genitori di Alessia sono venuti alla Farnesina con le lacrime agli occhi».
Nelle ultime 48 ore ci sono state due telefonate fra Tajani e il ministro degli Esteri dell'Iran, Hossein Amirabdollahian «sulle recenti evoluzioni delle relazioni bilaterali, internazionali e regionali», rivelano dall'ambasciata a Roma. «Una molto lunga - fanno sapere dalla Farnesina - La prima mercoledì in cui si prospettava la liberazione. E l'altra la mattina dopo, con la conferma che Alessia stava tornando a casa».
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