Dieci minuti di tregua e un abbraccio, per provare a spegnere le polemiche e rimandare all'esterno l'immagine di una maggioranza unita.
Dopo la rumorosa assenza di martedì in Senato, Matteo Salvini decide di presentarsi alla Camera per il secondo tempo delle comunicazioni al Parlamento in vista del Consiglio Ue di oggi e domani. Entra, si accomoda nei banchi del governo accanto a Giorgia Meloni e l'abbraccia con un sorriso mentre dall'emiciclo qualche deputato dell'opposizione butta lì un «bacio, bacio». Poi, passati una decina di minuti e ben prima dell'intervento della premier, il leader della Lega si congeda, perché impegnato al Mit prima in un collegamento da remoto a un convegno sulla mobilità in Emilia-Romagna e poi in un faccia a faccia con il vicepremier del Turkmenistan Rashid Meredov. Non sarà presente, dunque, quando di lì a poco la presidente del Consiglio replicherà alle opposizioni che le chiedono conto delle parole del leghista dopo le elezioni in Russia («quando un popolo vota ha sempre ragione»). «Mi si dice di parlare con Orban e con Salvini per chiarire il sostegno all'Ucraina. In entrambi i casi - spiega Meloni - contano le decisioni e i voti. Il governo italiano ha una posizione chiara e in Ue siamo anche riusciti a garantire la revisione del bilancio pluriennale che consente di sostenere Kiev per i prossimi quattro anni».
Insomma, più che alle parole - è il senso del ragionamento della premier - bisogna guardare ai fatti. Che sono chiari, spiega in Transatlantico l'altro vicepremier, Antonio Tajani. «In politica estera la linea - dice con un tono che non pare troppo conciliante - la danno il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, gli altri si adeguano e basta». Ed è per questo che in Europa «nessuno mi ha chiesto conto delle parole di Salvini».
Oltre l'abbraccio, insomma, restano scorie e tensioni. Anche se la parola d'ordine nella maggioranza è sopire e minimizzare. Così, quando a favore di telecamere chiedono a Tajani di dare un titolo alla foto dell'abbraccio tra Salvini e Meloni, il segretario di Forza Italia non esita un attimo: «Love story», quella «di una coalizione che a dispetto di tutti non va mai in frantumi da trentanni». Un tono decisamente diverso rispetto a qualche ora prima, quando in Transatlantico gli era stato domandato se si sentiva a suo agio a stare nella «stessa famiglia» di chi ha posizioni così distanti dalle sue su un dossier chiave come l'Ucraina. «La famiglia è una cosa seria, diciamo che siamo nella stessa coalizione», risponde secco.
D'altra parte, le incomprensioni sono sì legate alla questione Ucraina (perché le parole di Salvini sono rimbalzate anche su alcuni importanti media internazionali) ma hanno pure un ricasco interno non indifferente. La corsa verso le Europee dell'8 e 9 giugno - dove si voterà con il proporzionale, quindi tutti contro tutti - ha infatti inevitabilmente acceso la competizione dentro la maggioranza. Circostanza, questa, che sta iniziando ad avere contraccolpi pure sui lavori parlamentari. Non è un caso che nelle ultime 48 ci sia stata un'accesa discussione - fonti convergenti raccontano di una telefonata tra Meloni e Salvini martedì sera - sulla richiesta d'urgenza del governo per l'esame del ddl sula cybersicurezza alla Camera. Presentata due giorni fa è stata poi ritirata ieri, dopo che la Lega ha alzato le barricate temendo che una modifica del calendario renda più complicato l'iter dell'autonomia differenziata. Il leader del Carroccio vorrebbe approvarla anche a Montecitorio prima delle Europee, mentre la premier chiede che vada di pari passo con il premierato, che al Senato - per l'ostruzionismo dell'opposizione e non solo - ha rallentato la sua corsa.
Per non parlare di Forza Italia, che vede invece come fumo negli occhi l'autonomia. I governatori azzurri del Sud sono infatti in subbuglio e il timore è che un via libera prima del voto possa avere ripercussioni proprio in quelli che sono i principali bacini elettorali di Forza Italia.
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