Lavorare in modo flessibile per sempre. La decisione - storica - è della casa di gestione d'investimenti londinese Schroders. L'emergenza Covid col suo strascico di insicurezza per il futuro, ha portato la casa di gestione a fare un sondaggio interno. Risultato: niente più obbligo di sedersi alla scrivania in ufficio almeno 4 giorni su 5, come era fino ad oggi. Norme riviste e totalmente corrette: i singoli team e dipendenti potranno decidere in modo flessibile quando, come e dove lavorare. In Inghilterra hanno fatto i loro conti con il traffico, il rischio, i mezzi pubblici e si sono accorti che lo scossone della pandemia poteva diventare routine. Anche in un luogo «tradizionale» come una banca dove scambi e relazione sono cuciti insieme alle giacche e cravatte degli uomini della City. Eppure. L'amministratore delegato Peter Harrison aveva anticipato che «la pandemia ha cambiato in modo irrevocabile il modo in cui viviamo». Quindi «la relazione tra comunità e imprese aveva precisato non sarà più la stessa, l'ufficio diventerà un posto d'incontro dove riunire la squadra per parlare, ma la gente lavorerà da casa». Detto fatto. La decisione ha fatto trasalire il sindaco di Londra, Sadiq Khan: «Se tutti decidiamo di lavorare da casa il centro di Londra avrà grandissimi problemi. Tante piccole imprese si sostengono con il viavai di lavoratori: i bar, le tintorie, i calzolai e così via». Effetti dello smart working o del lavorare «da casa» come erroneamente sintetizziamo in Italia. «La scelta della casa di gestioneSchroders è sgnificativa - spiega Mariano Corso, responsabile dell'Osservatorio sullo smartworking del Politecnico di Milano - perchè è indice di un trend che dai settori digitali si allarga anche a quelli dei servizi». Twitter infatti è stato il primo a dare questa possibilità ai suoi lavoratori e alcune imprese del digitale già lo fanno da tempo. Ma una casa di gestione determina un cambio di passo. «Presenzialismo e orari vengono sostituiti da obiettivi e performace. Una visione moderna del lavoro applicabile benissimo anche in Italia», è convinto Corso. Secondo i dati dell'Osservatorio almeno 1 lavoratore su 3 potrebbe diventare «smart». Si tratta di circa 8 milioni di persone che potrebbero abbandonare la scrivania. Il cartellino non ha più senso. E i contratti legati agli orari neppure. Il Covid lo ha dimostrato. Con un «ma». L'assenza dovrebbe bilanciarsi con una qualche presenza ma diversa. «Come la legge prevede, smart working significa dare la possibilità di scegliere dove lavorare - spiega Corso - La parte individuale, più tecnica può essere fatta ovunque, anche a casa. Ma c'è una parte di relazione, quella dei corridoi, del caffè alla macchinetta che non è solo socialità ma anche motore per l'innovazione». Lo conferma Maria Vittoria Pisante, responsabile del personale di Siram/Veolia convinta che se da noi facessimo un sondaggio, i lavoratori non sceglierebbero lo smart working totale ma solo parziale. «C'è necessità di avere un qualche rapporto umano, quello destrutturato. In una call, nei video bisogna sempre essere efficienti, puntare all'obiettivo, con agenda alla mano, slot di tempo dedicati. Non c'è il pensiero libero che fa nascere le idee». E questo pare essere il vero nodo. Se oggi posso lavorare ovunque perchè devo andare in ufficio? È la domanda da porsi davvero oggi secondo Luca Brusamolino, esperto di smartworking e fondatore di Workitect. «Perchè lì devono succedere delle cose, diverse da quelle che posso fare da solo a casa. E quindi incontrare le persone, confrontarsi, perchè è di questo che si nutre l'innovazione». Tanto è vero fa notare lui che anche quelle aziende che lavorano solo da remoto saltuariamente fanno dei ritiri, un misto tra vacanza e lavoro per guardarsi negli occhi. Intanto però c'è chi sta sperimentando anche una socialità lavorativa virtuale.
«Stiamo sperimentando delle stanze di conversazione con i colleghi o con i clienti dove il luogo perde la sua fisicità», spiega Laura Colombo partner di Linkedin esperta di risorse umane. Un po' come gli aperitivi on line durante il lockdown... la nostra nuova noralità?
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