«Michela ha avuto l'idea perché sapeva che sarebbe nata di lì a poco la certificazione di parità. Stando nel mondo della politica sapeva che c'era in ballo questa legge» dice a Report una manager di Obiettivo Cinque, società specializzata appunto nella consulenza alle grandi aziende sulla parità di genere. La Michela che aveva informazioni privilegiate, da trasformare in business ben remunerato è Michela Di Biase, deputata Pd, moglie di Dario Franceschini. E socia al 25% della Obiettivo Cinque, srl nata nell'aprile 2021. Proprio pochi mesi prima del varo della legge sui «bollini rosa» per le aziende (meno tasse e punteggio per l'accesso ai bandi pubblici). «Siamo stati sicuramente i primi» si vanta la manager. Un bel fiuto imprenditoriale. Facile, certo, se come socio c'è una deputata Pd con accesso privilegiato ai vertici del partito. «Ci hanno detto che l'idea di fondare la società è stata sua perché sapeva che sarebbero arrivati dei finanziamenti pubblici nel settore» dice Lorenzo Vendemiale, uno dei due autori insieme a Carlo Tecce dell'inchiesta di Report. «È ridicola questa cosa» chiude nervosamente la Di Biase, che non compare nel sito alla voce soci, anche se lo è. «Non ho nulla da nascondere» dice. Il business, intanto, va a gonfie vele. Nel 2022 la società di lady Franceschini ha fatturato 200mila euro. E ora punta a prendersi anche i finanziamenti legati al Pnrr per il gender gap.
L'altro paladino dei diritti civili è Alessandro Zan, deputato Pd e autore della famosa proposta di legge sulla omostransfobia. Zan si occupa di diritti Lgbt in Parlamento, come politico, e poi come amministratore unico di una srl, la Be Proud, che organizza il Pride Village di Padova, dove è stata ospite anche Elly Schlein. Una società no profit? No, «una società commerciale. Nel 2022 ha incassato più di 1.300.000, di cui oltre 700.000 di corrispettivi di ingresso e oltre 450.000 dagli incassi del bar» spiega Report. La società di Zan ha preso 180mila euro di ristori statali, per il Covid, poi ha girato 50mila euro al Pd, come finanziamento, mentre Padova è il suo collegio di elezione.
Zan non ci vede il minimo conflitto di interesse, «tutto quello che viene guadagnato viene riversato nell'iniziativa e dunque non c'è nessun tipo di guadagno», dice, «ho prestato il mio nome per dare una mano. Lo faccio con spirito di servizio, a titolo gratuito». È un business? «Assolutamente sì» risponde invece il commercialista Stefano Capaccioli.
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