Gli afghani fuggiti in Italia: Kabul lasciata ai talebani

I racconti dei 5mila espatriati a tre anni dalla fuga. "L'11 settembre ha stravolto anche le nostre vite"

Gli afghani fuggiti in Italia: Kabul lasciata ai talebani

“Talvolta penso che sarebbe stato meglio morire combattendo in Afghanistan” è l'amaro commento dell'ex capitano dei corpi speciali, che ha lottato fino all'ultimo prima dell'arrivo dei talebani a Kabul. E poi è stato evacuato dal drammatico ponte aereo dalla capitale afghana nell'agosto 2021, l'operazione Aquila Omnia che ha portato in salvo 5.011 anime, compresi 1.301 donne e 1.453 bambini. Oggi vive con la numerosa famiglia a Sestri Levante, fra mille difficoltà. Ufficiale di carriera formato all'Accademia di Modena, ha trovato un impiego a termine come “operatore ecologico”, ovvero spazzino. Però manda orgoglioso le foto della spiaggia ripulita senza neanche una cartaccia.

Safdari
L’interprete degli italiani ad Herat, Mohammad Ali Safdari, con al famiglia in Italia


Il Giornale, grazie a Matteo Carnieletto e a chi scrive, lo ha aiutato nella pericolosa fuga da Kabul, insieme ad oltre un centinaio di afghani. Ventitré anni dopo l'11 settembre, abbiamo scelto di ricordare il tragico attacco del terrore che ha dato vita a tutto con gli afghani che vivono da noi. Come Ajiad, l'interprete dei soldati italiani ad Herat, Mohammad Ali Safdari, che vive in Toscana, Z., il nipote di un ministro che rischiava di essere ucciso dai talebani. E Aziza Naderi, la più giovane, 23 anni, l'ultima a fuggire dalla “prigione” dell'Emirato islamico, che arriverà in Italia oggi, 11 settembre.

Aziza
Aziza Naderi


Storie afghane che ci fanno capire come siamo arrivati dalle Torri gemelle al ritorno dei talebani al potere, che ospitano una dozzina di campi e centri di addestramento di al Qaida ricavati anche in ex basi della Nato. “L'11 settembre ero in quinta elementare e ricordo solo la notizia che sono morte tante persone in America - racconta Ajiad - Mi sono messo a piangere pensando ai bambini come me che avevano perso i loro genitori”. Nel 2021, quando i talebani stanno marciando su Kabul, mi arriva su Whatsapp una foto di un giovane afghano impettito nella divisa di Modena con sullo sfondo piazza Unità d'Italia a Trieste, la mia città. Il Giornale lo raggiunge via telefono a Ghazni dove il capitano Ajiad combatte e viene ferito, ma continua a guidare la sua unità dei corpi speciali afghani. “Siamo tornati a Kabul e cercavo di contattare i miei comandanti - racconta - Erano tutti già scappati. Siamo rimasti soli”. I talebani gli avevano già decapitato il fratello e messo una taglia sulla testa. Per giorni si è nascosto in un pozzo, fino a quando non ha avuto il via libera per andare in aeroporto con la famiglia. Una notte di tensione con messaggi vocali del seguente tenore: "Abbiamo dovuto cambiare cancello d'ingresso passando attraverso un posto di blocco dei talebani. Nel minivan mi sono nascosto dietro le donne coperte dal burqa”.

Mohammadi 1 a destra
Mohammadi, a destra


Ajiad ha combattuto per anni credendo che “la Nato avrebbe fatto finire la guerra e l'Afghanistan sarebbe rinato come l'Europa dopo il secondo conflitto mondiale con il piano Marshall. Non è stato così perché i nostri capi erano tutti ladri”. Ancora tanti nostri collaboratori stanno scappando dall'Afghanistan e inviano messaggi drammatici. “Sono in Iran con la famiglia. La situazione è terribile. Abbiamo solo altri venti giorni di visto. Il Ministero della Difesa (italiano) ci ha risposto di aspettare, che siamo nella lista per l'evacuazione. Se ci rimandano in Afghanistan i talebani ci sgozzano. Vi prego aiutatemi" è il tenore dei Whatsapp da Teheran. A Roma fanno il possibile: dall'ottobre 2021, con l'avvio di Aquila Omnia bis per chi è rimasto indietro, sono stati inseriti 1707 afghani nel Sistema di accoglienza e integrazione del Viminale. Entro l'autunno otterranno il visto altre 60 famiglie, ma l'Iran, per le tensioni in Medio Oriente, aveva interrotto i voli. Le liste d'attesa, secondo il Comando operativo di vertice interforze, riguardano 4100 afghani che potrebbero venire trasferiti in Italia tra il 2025 e il 2030.


Mohammad Ali Safdari, che era la fianco dei soldati Nato e italiani ad Herat come interprete, aspetta dal 2021 l'arrivo dei suoi fratelli. Assieme alla moglie e ai quattro figli “che si sono ben integrati”, vive in Toscana e ha trovato lavoro nella reception di un hotel. “Le forze occidentali hanno abbandonato gli afghani - spiega - permettendo che vengano di nuovo puniti e torturati dai talebani”. Nell'estate drammatica del 2021 era una specie di portavoce degli interpreti: “Siamo terrorizzati, come il resto della popolazione. Se il governo italiano non accelera l'evacuazione di noi interpreti rimasti in Afghanistan, i talebani potrebbero entrare ad Herat e il nostro destino sarebbe terribile”. A dozzine con le famiglie sono riusciti a raggiungere Kabul. Safdari è entrato per primo, ma altri interpreti sono rimasti fuori e sono riusciti ad entrare con grande difficoltà. “A dire il vero molti interpreti che sono stati evacuati e ospitati dal governo italiano - osserva - semplicemente hanno atteso che arrivassero gli altri familiari per poi andare in altri Paesi. Una tradizione”.


Z., ex tenente dei carabinieri che vive da anni in Italia, è nipote di un ministro dell'ultimo governo afghano e voleva resistere ad ogni costo. Nell'agosto 2021 è con la famiglia a Kabul e si ritrova circondato dai talebani. Poi è riuscito a dileguarsi: "Se mi avessero visto sarei morto". Per giorni è rimasto bloccato nel girone dantesco della massa umana attorno all'aeroporto. Alla fine, grazie a pressioni e all'aiuto dell'ex segretario generale della Farnesina, Ettore Sequi, riesce a superare il cancello presidiato dai marines. Una mattina sul telefonino manda una foto di lui e le sue tre bambine distrutte e sedute per terra, ma finalmente in salvo. Il messaggio non lascia dubbi: "Siamo dentro. Grazie di cuore". Z. ricorda bene che “dopo gli attacchi dell'11 settembre e la risposta dell'America, l'Afghanistan sembrava un grande cimitero abbandonato”. La promessa dell'esportazione della democrazia, però, è un'impossibile chimera. “La generazione cresciuta dopo il 2001 - spiega - è la classe media che può ancora esigere un sistema moderno in Afghanistan”. Forse il futuro sarà nelle mani di Aziza Naderi, la giovane studentessa di legge rimasta intrappolata nella “prigione femminile” dell'Afghanistan talebano. La sua storia è finita nel libro In questa notte afgana di Pamela Ferlin, edizioni Piemme, che da Padova ha lanciato una gara di solidarietà. L'Università le ha concesso una borsa di studio. “Il viaggio non è stato facile, sono partita a giugno da Kabul con un visto turistico per l'Iran, accompagnata da mio fratello (le donne non possono viaggiare da sole nda)” racconta Aziza.
Oggi, 23 anni dopo l'attacco all'America, arriverà con un volo a Venezia. “Mi sembra di nascere una seconda volta.

Ma spero di tornare un giorno nel mio Paese - ha confidato all'autrice del libro che racconta la sua storia - quando le condizioni me lo consentiranno e sarò più forte e potrò riprendere il sogno di contribuire a cambiare il mio paese. Le donne afgane sono forti, fiere e meritiamo di essere libere”.

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