Allarme credito. Occorre fare di più e più velocemente secondo Unimpresa o il sistema rischia il collasso mentre le banche, in assenza di garanzie pubbliche, chiudono i rubinetti e virano verso i lidi più redditizi della gestione del risparmio. La fine delle moratorie e l'insufficiente disponibilità di strumenti a sostegno dei finanziamenti alle imprese potrebbe mettere a repentaglio la ripresa del Paese. Non basta, avverte Unimpresa, il prolungamento al 30 giugno della garanzia pubblica, come previsto dalla normativa, se questa è subordinata al caro bollette. Scelta che, peraltro, potrebbe penalizzare molte realtà, specie dei servizi o del turismo, dove il peso del costo energetico è inferiore al manifatturiero.
Da sciogliere poi il nodo delle moratorie scadute a dicembre: se non arriva la proroga, per cui il governo sta trattando con Bruxelles, si rischia il «dissesto finanziario» per quasi 700mila imprese che hanno rate scadute per 27 miliardi con conseguenti ripercussioni sull'intero tessuto economico. Entrando nei dettagli delle misure di sostegno alle aziende, secondo i più dati della task force liquidità, le richieste di garanzia per i nuovi finanziamenti bancari pervenute al Fondo per le pmi sono state 2,6 milioni per oltre 225 miliardi. Ammontano poi a 32,6 miliardi i prestiti erogati con Garanzia Italia per un totale di 4.483 operazioni.
Se questo impianto verrà meno, avvisa l'associazione, si assisterà a una frenata nell'erogazione di nuovo credito alle imprese italiane, soprattutto alle più piccole. Tanto più, secondo Unimpresa, che «le banche italiane stanno già rottamando il vecchio sistema di agenzie lasciando un vuoto, per quanto riguarda l'attività creditizia, che al momento non è facilmente colmabile».
Sul problema è intervenuto pochi giorni fa Lando Maria Sileoni, leader della Fabi: «Oggi le banche - ha detto il sindacalista a La7 - sono proiettate a vendere prodotti finanziari e assicurativi anche perché la Bce vuole meno rischi e bilanci meno appesantiti. Ma in questo modo si perderà il contatto con il territorio e il ruolo sociale della banca». «La scelta dei vertici del settore bancario non appare orientata a fare sistema, come si diceva un tempo, ma solo a massimizzare i profitti», ha poi sintetizzato Giuseppe Spadafora, vicepresidente di Unimpresa, secondo cui, proprio per questa ragione, «il governo, anche forzando la mano con l'Europa, deve estendere l'operatività delle garanzie pubbliche sui nuovi finanziamenti, cercando altresì di rinnovare anche le moratorie sui vecchi prestiti. Si tratta di una scelta da attuare con la massima urgenza se si vuole evitare una gigantesca crisi di liquidità per le aziende italiane».
«I numeri dimostrano il ruolo svolto dalle banche durante la pandemia, a supporto delle imprese e delle famiglie, per la ripresa dell'Italia: 2,6 milioni di moratorie e oltre 250 miliardi di finanziamenti con garanzia» ribatte a il Giornale il direttore generale dell'Abi, Giovanni Sabatini, secondo cui: «Il discorso non deve fermarsi a moratorie e a prestiti» ma deve tener conto che «le banche in Italia sono imprese che operano nell'ottica di una sana e prudente gestione bancaria» e passare da una «sensibilizzazione delle Istituzioni Europee» in materia di definizione di prestiti a rischio. In merito Sileoni aveva spiegato il rischio tagliola: «Le regole dell'Eba, l'autorità bancaria europea, impongono di classificare come prestiti a rischio anche i finanziamenti sospesi con le moratorie».
La stessa Abi, poche settimane fa, aveva chiesto a
Palazzo Chigi di riconfermare «nella loro interezza tutte le misure di sostegno alle imprese previste dal cosiddetto Decreto liquidità e successive modificazioni», sollecitando al contempo l'Europa a una maggiore flessibilità.
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