Anche il giudice di Trump ce l'ha con Trump. Ma alla Giustizia è il giorno del suo sceriffo

Per Neil Gorsuch le dure accuse ai magistrati del presidente sono "scoraggianti"

Anche il giudice di Trump ce l'ha con Trump. Ma alla Giustizia è il giorno del suo sceriffo

Tutto sta a scegliere tra la gratitudine e l'appartenenza perché il problema, diceva Lyndon Baines Johnson non è fare la cosa giusta, è sapere quale sia la cosa giusta. Neil Gorsuch, il nono giudice della Corte Suprema, l'uomo che sta sulla linea di confine nella massima assise tra conservatori e progressisti, l'uomo che ha in mano il futuro della società americana, è anche il giudice al quale Trump in persona ha consegnato poco più di una settimana fa il seggio della Corte suprema lasciato vacante dal fu Antonin Scalia, seggio che i democratici avrebbero preferito mille volte veder occupato da Merrick Garland, perché Gorsuch la legge non la interpreta per gli amici e la applica ai nemici, ma la applica e basta. Così in fondo non stupisce che sul muro contro muro che oppone The Donald alla magistratura sul bando agli immigrati, Gorsuch abbia preso le parti dei suoi definendo senza tremare «demoralizzanti» e «scoraggianti» gli attacchi del suo benefattore alla casta togata sul «Muslim ban». Cioè i tweet con cui Trump definisce il magistrato Robart, quello che gli ha bloccato il bando, un «cosiddetto giudice» le cui «ridicole opinioni tolgono applicazione della legge al Paese». E poi: «Non voglio definire il tribunale di parte ma i tribunali sembrano così politicizzati».

Parole senza se e senza ma quelle di Gorsuch che servirebbero a tranquillizzare gli americani sul fatto che lui non guarderà in faccia nessuno. Ed è solo un caso che l'esternazione abbia coinciso con il giuramento del senatore ultraconservatore dell'Alabama Jeff Sessions al Dipartimento della Giustizia che ha usato parole opposte per prendere possesso dello scranno, anche perché pare sia lui l'eminenza grigia ispiratrice del «Muslim ban»: «Abbiamo bisogno di un sistema legale di immigrazione e di porre fine a questa illegalità che minaccia la sicurezza pubblica». «Sarà un grande protettore del popolo» lo ha salutato The President.

E siccome le giornate di Trump durano 36 ore e il tempo anche se non è più denaro non va perduto ieri ha promesso alle compagnie aeree americane un piano fiscale «fenomenale» che verrà presentato nel giro di due-tre settimane facendo subito volare Wall Street; combattuto i Sioux della riserva di Standing Rock che hanno presentato ricorso contro il progetto dell'oleodotto del North Dakota, dopo che la società costruttrice ha ottenuto l'autorizzazione federale del governo di scavare sotto il fiume Missouri; chiesto, per voce di una delle sue collaboratrici, Kellyanne Conway, di comprare i vestiti del brand di Ivanka Trump dopo che la catena di negozi Nordstorm ha smesso di venderli: «Uscite e comprate cose di Ivanka è una linea di abbigliamento meravigliosa». Quando si dice amore di papà.

E se Theresa May lo ha schiaffeggiato senza ragione («Le politiche di Trump sono sbagliate e divisive, noi non le

adotteremo mai»), come se la Brexit riguardasse altri, Pechino ha salutato con soddisfazione la lettera del tycoon: «Insieme abbiamo la responsabilità di proteggere la pace e promuovere lo sviluppo». Almeno la Cina è più vicina.

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