Poco meno di mille difensori superstiti di Mariupol si sono arresi ai russi, ma altrettanti erano ancora asserragliati, fino a ieri sera, nell'acciaieria Azovstal con i loro comandanti. La base dell'accordo per evacuare l'ultima ridotta è uno scambio di prigionieri, ma tutto rischia ancora di accadere nel bene e nel male. Se la complicata trattativa filasse liscia, a cominciare dal dovuto rispetto per i prigionieri di guerra, la resa degli ultimi difensori della città «potrebbe diventare un primo tassello per il negoziato più ampio sul cessate il fuoco» rivela al Giornale una fonte militare. Poco più di una speranza, ma nelle 24 ore fra lunedì e martedì hanno ceduto le armi 694 soldati ucraini per un totale di 959 dal 16 maggio quando è iniziata quella che Kiev chiama «evacuazione» e Mosca «resa». I feriti gravi sono oltre 80 e molti degli altri prigionieri appaiono denutriti, provati o feriti come mostra il secondo video reso noto dal ministero della Difesa di Mosca. I soldati ucraini compresa una donna, vengono perquisiti con attenzione e incolonnati per poi venire fatti salire sui pullman che li portano nei territori occupati dai separatisti, ma in Ucraina e non, almeno per ora, oltre confine nella Federazione russa.
Così il Cremlino avrà meno imbarazzi sulla loro sorte, ma pure le decisioni della Duma con le richieste di processarli e condannarli a morte hanno poco peso. Denis Pushilin, il capo dell'auto proclamata Repubblica popolare di Donetsk, ha comunque dichiarato che «per quanto riguarda i criminali di guerra e i nazionalisti, il loro destino, se hanno deposto le armi, dovrebbe essere deciso da un tribunale. Il tribunale decide, se si tratta di un criminale nazista e deve venire sottoposto a processo». La convenzione di Ginevra non lo prevede, ma pure gli ucraini a Kiev stanno processando i soldati russi prigionieri accusati di crimini di guerra.
Lo stesso Pushilin confermava ieri sera che «un migliaio di militari ucraini, compresi i loro comandanti, sono ancora trincerati nell'acciaieria Azovstal». Il vero nodo sono proprio i volti noti della resistenza come Denis Prokopenko, comandante del reggimento Azov, il suo vice Sviatoslav «Kalynà» Palamar e il capo dell'intelligence Ilya Samoilenko, detto Cyborg per il braccio in titanio e l'occhio di vetro eredità di passate battaglie. Oltre al maggiore-padre di famiglia, Serhiy Volyna, comandante dei marines della 36esima brigata.
A Kiev la vice ministra della Difesa, Hanna Maliar, ammette «che ci sono ancora molte persone» nell'ultima ridotta sotterranea, ma non c'è altra scelta che l'evacuazione. Malyar sottolinea che «i difensori di Mariupol hanno adempiuto pienamente alla loro missione di combattimento» ricordando che grazie alla strenua difesa della città, il corpo d'invasione russo non ha potuto trasferire circa 20mila militari in altre regioni dell'Ucraina. «I soldati che hanno continuato a combattere lo hanno fatto con coraggio e abilità ed è ammirevole pensare per quanto tempo sono stati in grado di resistere», ha sostenuto il portavoce del Pentagono, John Kirby. Alla tv russa un capo miliziano dei separatisti del Donbass ha detto che potrebbe «capitare un incidente, che si sparino da soli» riferendosi alla resa delle figure più note della resistenza di Mariupol. Gli irriducibili e i loro comandanti potrebbero anche scegliere di non diventare trofei dei filo russi, con il rischio di venire torturati, decidendo di immolarsi alla samurai per non consegnarsi al nemico.
Da parte di Mosca il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha ammesso che all'inizio dell'invasione sono stati commessi degli «errori».
I suoi uomini integrati da anni nell'esercito russo hanno combattuto in prima linea a Mariupol. «All'inizio sono stati compiuti degli errori», ha spiegato parlando di «alcune piccole carenze, ma adesso va tutto come pianificato al 100%».
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