Antisemitismo e intolleranza, Bernini: "Un comitato per la sicurezza e l'ordine negli atenei"

Il ministro dell’Università e della ricerca, Anna Maria Bernini, annuncia per il 24 aprile un vertice con Piantedosi «per un cambio di rotta» dopo gli episodi di violenza

Antisemitismo e intolleranza, Bernini: "Un comitato per la sicurezza e l'ordine negli atenei"

Da Roma, a Genova e Bari le proteste nelle università stanno diventando una consuetudine alla quale l'opinione pubblica rischia di assuefarsi. Una situazione critica che preoccupa sempre di più. «Non parlerei di allarme, ma piuttosto di un momento delicato - spiega al Giornale Anna Maria Bernini, ministro dell'Università e della ricerca -. Un momento segnato da un crescendo di episodi di intolleranza, come riflesso anche delle tensioni internazionali».

Ministro, quale è l'approccio che sta seguendo per contenerle?

«Tutte le opinioni sono legittime, anche le più radicali. Ma il discrimine, semplicemente inaccettabile, è la violenza che mina il concetto di università come luoghi di democrazia».

Cosa si può fare per tenere fuori dalle università violenze e intimidazioni?

«Dal punto di vista pratico, le potrei rispondere: separando i professionisti delle aggressioni dagli studenti pacifici, cosa che le università stanno facendo. Ma occorre anche andare alle radici del problema. La violenza spesso è figlia di orribili rigurgiti di antisemitismo. E qui occorre un salto nella direzione di una battaglia che è politica e culturale a tutti i livelli».

Ci spieghi la sua idea.

«Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità sul clima che si sta creando. Ai rettori rivolgo un appello, pur nel rispetto dell'autonomia: il boicottaggio di Israele, su cui si sta determinando un effetto emulativo nelle università, è una scelta sbagliata che quel clima rischia di alimentare e si presta a strumentalizzazioni. Bisogna distinguere tra il governo Netanyahu, che sta commettendo dei tragici errori, e il popolo israeliano, verso cui condividiamo sentimenti di amicizia. E le università devono rimanere strumenti di pace che tengono vivo il rapporto con quel popolo».

Quindi hanno delle responsabilità anche i rettori?

«Sto dicendo che le università sono il luogo della ricerca e del libero pensiero per eccellenza. Identificarle con i governi è peggio di un crimine: è un errore. É importante che non si diano alibi a chi fa di tutta l'erba un fascio: critica al governo, odio verso un popolo, sentimenti antioccidentali. Nella confusione c'è chi si sente legittimato a iniziative all'insegna dell'antisemitismo che nulla hanno a che fare con le critiche legittime».

Serve più coraggio?

«Dico, prendendo a prestito il nome del collettivo avvezzo alla violenza antisemita: bisogna cambiare rotta e coniugare una battaglia culturale con l'intransigenza verso ciò che è fuori dal perimetro democratico. So che i rettori sono preoccupati. E per condividere le loro preoccupazioni e fare un punto della situazione ho chiesto al ministro dell'Interno Piantedosi, che ringrazio della solerte attenzione, di riunire un comitato per l'ordine e la sicurezza ad hoc, che si farà il 24 aprile».

Saranno varate delle misure speciali?

«Né misure speciali né lassismo. Il comitato sarà allargato alla Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane, ndr) e sarà un'occasione di confronto e condivisione. Fa parte della responsabilità che le dicevo, che, in una democrazia, è l'unica misura speciale».

Che cosa intende per responsabilità?

«Coniugare sicurezza e libertà. Le università non sono zone franche per i reati. La sicurezza è libertà: libertà di studiare, di manifestare, anche di contestare civilmente Netanyahu. Ha ragione il capo dello Stato: nelle università va garantito il dissenso. É chi impedisce agli ebrei o a chiunque di parlare che nega sia libertà sia dissenso, non le forze di polizia che mantengono l'ordine, cui va il mio ringraziamento».

Ministro, mercoledì sarà in Tunisia insieme alla premier Meloni.

«Il Piano Mattei è una grande iniziativa strategica del presidente Meloni, perché il futuro dell'Europa su energia, sicurezza, immigrazione si gioca in Africa. Putin, che la destabilizza con la Wagner, lo ha capito bene. Così come la Cina che lì investe in infrastrutture. E' ora che l'Europa batta un colpo e l'Italia, per vocazione e collocazione geopolitica, può esercitare un ruolo decisivo».

Che rapporto c'è tra le università e il contrasto all'immigrazione clandestina?

«Il piano Mattei è qualcosa di più, come ha detto la nostra premier sin dal discorso di insediamento: è un progetto di cooperazione e sviluppo per l'Africa dentro cui c'è un'idea di governo dell'immigrazione. In questo quadro l'alta formazione è un pilastro di questa strategia. Con la Tunisia, per fare solo un esempio, firmeremo un accordo per rafforzare la collaborazione scientifica. L'obiettivo è contribuire a formare classi dirigenti in loco, fornendo ai giovani africani gli strumenti per partecipare attivamente al progresso e alla crescita dei loro Paesi. E' solo un tappa della mia, diciamo così, primavera africana su cui ho deciso di investire molto. Nelle prossime settimane sarò anche in Algeria e vedrò il ministro del Marocco a Roma. Lì presenteremo un piano d'azione concreto e innovativo, che abbiamo messo a punto insieme al prezioso lavoro della Fondazione Med-Or, basato su innovazione e sviluppo di agricoltura, energia rinnovabili e utilizzo sostenibile delle risorse naturali.

Parlerete di ricerca in Africa, mentre in Italia il settore lamenta tagli e definanziamenti.

«Non direi. La ricerca italiana sta vivendo una nuova stagione. Parlano i numeri. Con il Pnrr abbiamo immesso nel sistema 11 miliardi di euro. E oggi, al contrario del passato, non dobbiamo concentrarci sul reperimento delle risorse, ma sulla modalità di spesa migliore. Sono appena rientrata dagli Usa, dove ho sottoscritto accordi di partnership scientifica su temi innovativi, con la consapevolezza che il nostro Paese è considerato un partner non solo credibile ma strategico. Sarebbe un fattore positivo se ne avessimo più consapevolezza anche in Italia».

Dopo il caso della scuola di Pioltello, si parla di stop alle lezioni universitarie per il Ramadan.

«Bah, francamente, mi sembrano iniziative estemporanee e poco utili.

In Francia, dove la comunità musulmana è molto più cospicua di noi, non si fermano le università per il Ramadan. Non mi pare che rispettare il calendario scolastico e universitario mini la libertà religiosa, il cui esercizio e resta un presupposto della convivenza e dell'integrazione».

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