«Una vittoria schiacciante, una bellissima pagina di speranza per la Francia e l'Europa. Orgogliosi di essere stati con Macron fin dall'inizio».
A pochi secondi dal primo exit poll che dà per vincitore il presidente uscente, uno dei primi tweet di giubilo dall'Italia è quello di Matteo Renzi. Che rivendica il ruolo di alleato della prima ora del leader di En Marche, e lancia «un appello» a Enrico Letta e Silvio Berlusconi: «Attenzione al messaggio chiaro che arriva da Parigi: si vince al centro, come Macron. Non alleandosi coi populisti di sinistra come Conte o con quelli di destra come Meloni e Salvini».
Fino all'ultimo però anche lei è stato con il fiato sospeso, in questa partita cruciale per l'Europa. Ha temuto il peggio?
«Confesso che quando ho visto i risultati pro Le Pen che arrivavano dai territori francesi di Oltremare ho provato un po' di paura. Ma poi ho sentito gli amici di En Marche molto tranquilli e mi sono rassicurato».
Questa volta le presidenziali francesi sono state un test particolarmente drammatico. Perché?
«Perché, semplicemente, con una vittoria di Marine Le Pen sarebbe finita l'Unione europea. E la partita era resa molto complicata dal fatto che la Le Pen è riuscita a fare un percorso che la ha resa familiare ai francesi: la minaccia dell'incognita populista pesava di meno, e Macron non era più l'homo novus del 2017. Era un presidente in carica, che ha affrontato le difficoltà del governo, che ha dovuto fronteggiare un movimento interno di contestazione in alcuni momenti dilagante come quello dei Gilet gialli. Una gara enormemente più difficile di quella di cinque anni fa».
Ma è riuscito a vincerla.
«E questo dimostra la statura di leader di Macron. È la prima volta dai tempi di Chirac che il presidente uscente realizza il bis, fallito sia da Sarkozy che da Hollande. È una grande vittoria per la Francia, che lo carica di un'enorme responsabilità come punto di riferimento europeo».
Come spiega il fatto che - con la sanguinosa invasione dell'Ucraina in corso - la vicinanza a Putin, che finanzia il suo partito, non abbia impedito a Marine Le Pen di arrivare al ballottaggio?
«Le Pen ha faticato non poco a mandare al macero un milione e mezzo di volantini che la ritraevano con Putin, a inizio campagna. Ma alla fine le vicende internazionali hanno un peso relativo nelle campagne elettorali dei singoli paesi. Certo, senza la guerra in Ucraina non oso pensare come sarebbe potuta finire. Ma la chiave di tutto, su cui in Italia si dovrebbe riflettere urgentemente, è il ballottaggio».
In che senso, senatore Renzi?
«Il doppio turno consente di votare al primo giro per chi si sente più vicino. Al secondo, però, si è spinti a scegliere il meno lontano, e questo tende ad impedire ai diversi populismi, di destra e di sinistra, di saldarsi come è arrivato. Noi siamo gli unici a chiedere che in Italia si adotti il modello francese, scommettendo sulla ragionevolezza degli elettori che ha portato una fetta consistente di fan di Mélenchon a non votare Le Pen. Il voto di ieri in Francia deve far riflettere urgentemente i leader italiani».
A chi si rivolge?
«Innanzitutto a Enrico Letta e Silvio Berlusconi. Sulla questione ucraina e le elezioni francesi Letta (che pure in un primo momento si era schierato per Anne Hidalgo) ha avuto una linea perfetta che ha consentito di fare un grande passo avanti nei rapporti tra noi e il Pd. E anche le parole di questi giorni di Berlusconi, ma penso anche all'intervista di sua figlia Marina, sono state inappuntabili. Ora però bisogna passare dalle parole ai fatti: se si persegue un'alleanza con un personaggio come Giuseppe Conte, che solo 72 ore fa non sapeva scegliere tra Macron e Le Pen, e si strizza l'occhio al populismo di sinistra di Mélenchon, quella linea viene indebolita e contraddetta. E così per Berlusconi, se continua a puntare su Salvini e Meloni nella speranza di vincere le elezioni. Lancio un appello ad entrambi: siate macroniani».
Che cosa vuol dire?
«Vuol dire che la lezione va imparata. Perché quel che è successo ieri in Francia dimostra che si vince solo in una prospettiva europeista, dicendo sì al lavoro e non ai sussidi, al nucleare e all'innovazione tecnologica e energetica, e non inseguendo chi dice no a tutto.
Dicendo sì alla Nato e all'atlantismo, ma costruendo una postura europea come ha fatto Macron, che non ha avuto paura di non appiattirsi sulla linea Usa quando serviva: un europeismo fermamente atlantico, ma non necessariamente succube».
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