Niente da fare, Aspi e Spea escono dal processo per il crollo del ponte Morandi. Autostrade per l'Italia e la società gemella, che da sempre si occupava della manutenzione dell'infrastruttura, avevano chiesto il via libera ai giudici dopo aver patteggiato le loro colpe sotto il profilo della responsabilità amministrativa. Oggi il collegio dà loro ragione, facendole sparire dai radar delle parti civili. Ora, obiettivamente, i risarcimenti sono più lontani e la caccia agli indennizzi si fa più difficile: è vero che restano in aula i 59 imputati, a partire dai manager e dai funzionari che a vario titolo non avrebbero fatto il proprio dovere e non avrebbero sorvegliato il ponte fino al disastro finale, ma si tratta di persone fisiche. Una decisione ingiusta, secondo Egle Possetti, portavoce del comitato Vittime di Ponte Morandi: «Capisco le motivazioni tecniche ma c'è comunque grande amarezza».
Le due società erano un po' il simbolo di questa tragedia e naturalmente avevano, dal punto di vista finanziario, spalle molto più larghe. Il tribunale però non insegue questo o quel ristoro e semmai sposa la linea della procura che chiede di far presto e non vuole perdere il controllo di un dibattimento complicatissimo e affollatissimo. Già l'altro giorno in aula, il pm Massimo Terrile era stato chiaro fino alla brutalità: «L'obiettivo è quello di snellire il processo per arrivare ad una eventuale condanna o assoluzione. Non quello di liquidare i danni alle parti danneggiate». Il tribunale segue un altro ragionamento, più formale, ma arriva alla stessa conclusione: Aspi e Spea non hanno partecipato ad alcuni atti processuali, quindi non li si può trattenere nel procedimento, ance se solo nella veste di responsabili civili, perché questo lederebbe i loro diritti. Quindi, dopo aver abbandonato la nave sotto l'aspetto penale, grazie al patteggiamento, ora le due società si sfilano anche sul versante della responsabilità civile.
Ma, scrivono i giudici, «l'esclusione dal processo del responsabile civile non pregiudica in alcun modo che lo stesso possa essere chiamato a rispondere per i medesimi fatti in sede civile». Insomma, chi ritiene di non aver avuto giustizia, sa dove potrà andare a bussare in futuro. A onor del vero va anche detto che non solo Aspi ha chiuso i conti con la giustizia versando (con Spea) circa 30 milioni, ma ha anche risarcito in tempi rapidissimi molte delle moltissime vittime di questa tragedia. Quasi tutti i familiari dei 43 morti e dei feriti hanno ricevuto qualcosa come 67 milioni. Non solo, altri 200 milioni sono andati a quelli che hanno ricevuto una mazzata dal punto di vista economico: gli sfollati che hanno perso la casa, chi aveva un'attività commerciale, finita sotto le macerie, o anche solo agli artigiani che, autocertificazione alla mano, hanno dimostrato che esisteva un prima e un dopo 14 agosto 2018: dopo quel giorno terribile il loro fatturato era calato.
Il numero delle persone e delle attività coinvolte è altissimo: all'inizio del processo si sono presentate circa 700 parti civili e il loro numero potrebbe crescere ancora. C'è chi ha subito un danno e ora lo quantifica e c'è, naturalmente, anche chi prova a infilarsi dentro questa storia travestendosi da vittima collaterale.
Certo, questo esercito che avanza verso la cittadella giudiziaria manda nel panico la procura che già deve fare i conti con una macchina dibattimentale elefantiaca: «Un processo con 1228 testimoni che porterebbe ad un potenziale di 155 mila fra esami e controesami - ha spiegato in udienza un atterrito pubblico ministero - è un processo che non si può fare». Meglio sfoltire, per quanto possibile. Chi resterà indietro dovrà aspettare il secondo tempo, quello civile. Ma sarà un'attesa lunga anni.
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