Nella caduta delle Stelle, rischia il precipizio anche l'astro nascente del campo largo. Più che grillina, progressista. Alessandra Todde, presidente della Regione Sardegna decaduta, ama definirsi così. E, a pensarci bene, lo stesso Giuseppe Conte sta seguendo la strada battuta dall'ex viceministra allo Sviluppo Economico. Eppure, la corsa trionfale di una delle pentastellate più vicine al Pd subisce una battuta d'arresto a meno di un anno dalla vittoria nell'Isola. Siamo solo al 25 febbraio del 2024 quando Todde espugna la Sardegna. Lo fa con una manciata di voti (poco più di 3mila in più rispetto a Paolo Truzzu). Ma tanto basta a farla diventare uno dei simboli di quella che, secondo alcuni osservatori e a parere dei leader dell'opposizione, doveva rappresentare il principio della riscossa nei confronti del governo Meloni. L'inizio della remuntada. Il primo passo verso un effetto domino che avrebbe potuto perfino travolgere Palazzo Chigi.
Osannata da Elly Schlein e Giuseppe Conte, a un certo punto l'ex brillante imprenditrice sarda - andata via giovanissima da Nuoro per studiare all'Università di Pisa - era diventata il perfetto amuleto da campagna elettorale da sfoderare da Nord a Sud per dare speranza a un campo largo troppo spesso diviso e turbato dalle pretese dei vari partiti che compongono l'opposizione a livello nazionale. Insieme a Pierluigi Bersani, altro guru del fronte progressista, a marzo è stata anche in tour in Abruzzo, in vista di un'altra elezione regionale in cui sembrava possibile battere il centrodestra. Poi, alle urne, ha vinto Marco Marsilio e Todde è tornata in Sardegna, non senza qualche polemica per i costi del suo staff in Regione. Un milione di euro per l' Ufficio di Gabinetto, tra esperti e consulenti. Comunque, meno soldi rispetto al predecessore Christian Solinas, si era giustificata la presidente sarda. Un profilo, quello di Todde, diverso dall'archetipo del grillino delle origini. Tutta numeri e studio, ingegnere informatico e manager. Troppo diversa dalle nuance complottiste che coloravano i Cinque Stelle dell'epopea dell'assalto al Palazzo. Dell'apertura della scatoletta di tonno.
A scoprirla è Luigi Di Maio nel 2019, ma lei intuisce subito che il futuro è rappresentato da Conte. Infatti, diventa una delle esponenti più vicine all'ex avvocato del popolo italiano. Nel M5s i soliti maligni sottolineano che «non ha fatto nemmeno un giorno di militanza». Quanto di più lontano dalla mitologia del Meetup. È prima sottosegretaria e poi viceministro al Mise, con Conte e con Mario Draghi. Per i critici, nel dicastero di Via Veneto, si è distinta più per gli annunci che per le crisi aziendali effettivamente risolte. Negli ultimi mesi, seppur da Cagliari, non ha mai rinunciato a marcare il territorio nel dibattito politico nazionale. Nel caos interno al M5s, culminato con l'assemblea nazionale che ha defenestrato Beppe Grillo, si è messa in evidenza per la durezza nei confronti del Garante. A cui non ha concesso neanche l'onore delle armi. Grillo? «Sembra un cartone animato che se perde vuole bucare il pallone», è una delle ultime staffilate riservate al comico.
Il fondatore l'ha anche criticata sul Blog per la legge sulle rinnovabili nella sua Regione, senza però mai nominarla. Lei non si è scomposta: «Fa il comico, non conosce la Sardegna». Nel M5s resta una delle più tenaci sostenitrici dell'ancoraggio a sinistra. Ma, ora, dovrà risolvere altri problemi.
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