Due pesanti attacchi ucraini sferrati utilizzando missili americani Atacms hanno danneggiato in territorio russo una base aerea (secondo fonti del Cremlino) o un impianto industriale (secondo Kiev) e un oleodotto utilizzato per rifornire mezzi militari utilizzati contro l'Ucraina. A Taganrog nella provincia di Rostov a circa 160 km dalla linea del fronte nel Donbass una serie di potenti esplosioni nel cuore della notte hanno certamente distrutto (lo confermano fonti amministrative locali russe) un impianto industriale e uno per il riscaldamento civile. Il ministero russo della Difesa, però, afferma che sarebbero stati utilizzati nell'attacco sei missili ad alta precisione contro l'aeroporto militare di Taganrog; tutti gli Atacms sarebbero stati abbattuti o «deviati da sistemi elettronici» (Mosca non ammette mai che propri bersagli militari siano stati centrati impunemente, nemmeno in presenza di prove filmate), ma «si registrano comunque feriti tra il personale». A Brjansk, invece (100 km a nord del confine ucraino) un enorme incendio notturno è stato l'effetto del colpo inflitto all'oleodotto Druzhba.
Mosca ha promesso «una reazione adeguata». Secondo l'intelligence Usa, nei prossimi giorni potrebbe lanciare verso l'Ucraina un altro missile balistico a medio raggio Oreshnik come quello che lo scorso 21 novembre colpì duramente la città di Dnipro. Gli Oreshnik sviluppano una velocità che rende pressoché impossibile intercettarli, ma sembra che ne siano disponibili ben pochi e che Putin cerchi di usarli come strumento di intimidazione più che riuscire a cambiare grazie ad essi il corso della guerra. Lo dimostra il fatto che il mese scorso avesse minacciato di «usare il prossimo» contro bersagli in Paesi della Nato che permettono a Kiev di usare missili a lungo raggio contro il territorio russo.
A Bruxelles, intanto, è stato raggiunto un accordo di principio sul quindicesimo pacchetto di sanzioni europee contro la Russia, che si stanno dimostrando sempre più efficaci. Dall'Europa, però, arrivano anche notizie di altro tenore. Il premier ungherese Viktor Orbàn, di cui sono note le posizioni filorusse, ha telefonato ieri a Vladimir Putin «per un approfondito scambio di opinioni durato un'ora sulla questione ucraina». Orbàn caldeggia un cessate il fuoco e urgenti colloqui di pace, glissando sul fatto che le condizioni che Putin vuole imporre sono irricevibili da Kiev. Volodymyr Zelensky ha molto criticato questa iniziativa personale, accusando Orbàn (che subito se ne è detto «intristito») di rompere l'unità europea. «Speriamo che almeno non chiami Assad a Mosca», ha ironizzato il presidente ucraino.
Il Cremlino nega che Orbàn il quale aveva in precedenza colloquiato con Donald Trump, con cui ha un ottimo rapporto personale abbia riferito a Putin messaggi del presidente eletto americano.
Secondo il quale risolvere la crisi ucraina sarà la sua massima priorità di politica estera dopo il suo insediamento alla Casa Bianca il 20 gennaio. A Kiev temono che Trump intenda tagliare gli aiuti militari e ieri il governo ucraino ha affermato di disporre in ogni caso di armi (anche di produzione nazionale) per difendersi «almeno fino alla metà del 2025».
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