"Per aumentare i salari c'è un'unica strada: detassare gli aumenti"

L'ex ministro del Lavoro: "Occorre ripensare il reddito di cittadinanza, premia gli inattivi"

"Per aumentare i salari c'è un'unica strada: detassare gli aumenti"

Senatore Maurizio Sacconi, presidente dell'Associazione Amici di Marco Biagi e già ministro del Lavoro, che cosa significa la mancata crescita dei salari italiani nel trentennio 1990-2020?

«Significa che il nostro è un Paese anomalo, il più sindacalizzato in Occidente ma che ha avuto il più basso tasso di occupazione in Europa dopo la Grecia. I salari medi sono bassi rispetto a Francia e Germania e lo sono anche i tassi di produttività. Una parte di responsabilità è anche del modello centralizzato di contrattazione collettiva. Se i negoziati sono condotti su larga scala, infatti, le dinamiche retributive sono frenate dalle aziende meno performanti, mentre vengono premiate le aree meno produttive ove la vita costa meno. Ora affrontiamo un'inflazione importata e non la possiamo certamente alimentare, ma allo stesso tempo c'è una questione sociale».

Come si può intervenire?

«Credo che si debba decentrare con determinazione la contrattazione a livello aziendale o territoriale in modo che i salari possano crescere in base a produttività, professionalità e scomodità (lavoro notturno o festivo). In questo modo le retribuzioni possono legittimamente crescere perché sospingono l'efficienza dell'economia. Sostenere la contrattazione decentrata è ciò che facemmo nel 2008 con il primo Consiglio dei ministri del governo Berlusconi a Napoli. Detassammo gli aumenti salariali decisi in prossimità con un'aliquota secca del 10% per tutti gli incrementi deliberati in azienda. Ora questa norma di fatto non c'è più perché è stata complicata in quanto bisogna predeterminare gli obiettivi e verificarne il loro conseguimento. Se noi portassimo al 5% la tassazione secca di tutti gli incrementi retributivi decisi in prossimità, eviteremmo anche che chi lavora di più lo faccia per pochi soldi».

C'è un confronto molto acceso sul taglio del cuneo fiscale chiesto da Confindustria.

«Per i miracoli bisognerà attrezzarsi. L'intervento sul cuneo è stato contraddetto dalla riduzione dell'Irpef. È in quel frangente che si sarebbe dovuto aprire un tavolo con le parti sociali per discuterne. In ogni caso, bisogna uscire dalla logica fordista degli anni '70 e dall'impianto ipercentralistico e iperegualitario delle relazioni industriali. Chi si avvicina di più ai nuovi modelli è la Cisl».

Qual è la sua opinione sul salario minimo?

«Sono contrarissimo alla legge. I Paesi che l'hanno fatto hanno stabilito una soglia molto bassa di garanzia. In Italia si e' invece manifestata una sorta di sfiducia per la contrattazione che duttilmente invece tiene conto delle situazioni diverse. Con la legge si rischia di produrre lavoro sommerso e di svilire la contrattazione. Se si dovesse proprio fare qualcosa, si potrebbe estendere erga omnes il trattamento economico complessivo, incluso welfare e bilateralità, del livello minimo del contratto più applicato nel settore di riferimento. In questo modo non si entra in un territorio autonomo delle parti sociali, nemmeno per la rappresentatività».

I dati Istat sul lavoro ad aprile sono interlocutori anche se cala la disoccupazione.

«Marco Biagi con il Libro bianco ha richiamato tutti a considerare solo i tassi di occupazione e di attività, ovvero quelli che lavorano o che comunque cercano lavoro. In Italia questi indicatori sono stati cronicamente bassi pure in Lombardia, Veneto e Piemonte nel confronto con molte Regioni di Francia e Germania. In aggiunta, nessun Paese europeo ha una grande area così arretrata rispetto a quella più forte. È questo lo scandalo italiano su cui dovremmo interrogarci per capire se noi spaventiamo soprattutto le piccole imprese».

Il reddito di cittadinanza disincentiva l'occupazione?

«È una misura giusta in teoria anche se in Italia confonde due finalità. È fatto non solo come altrove per coloro che sono in tale disagio per cui il lavoro non è immediatamente una risposta: una madre single con bambini piccoli, una persona con problemi di dipendenze da gioco, droga o alcool.

Noi vi abbiamo sommato la povertà da disoccupazione per la quale abbiamo altri istituti e avremmo dovuto praticare politiche personalizzate di accompagnamento a un'occupazione. La misura va ripensata pure rispetto ai territori. Non può essere uguale per tutti. In alcuni territori è troppo vicina al reddito da lavoro. In questo modo non si premia il lavoro ma l'inattività».

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