Professor Donato Masciandaro, ordinario di Economia all'Università Bocconi, la crisi di Svb ha determinato una pesante flessione dei mercati. È sorpreso?
«No, sarei stato sorpreso del contrario. Se lo Stato dice che non ci sarà un salvataggio sempre e comunque, visto che la Fed ha posto dei paletti, la reazione dei mercati è andare verso il basso. Sarà importante vedere il prosieguo di questa vicenda».
Il caso Svb ha una valenza particolare o generale?
«È un caso speciale perché non è una banca come tutte le altre ma è specializzata nel far affari con imprese ad alto rischio e rendimento, che hanno cambiato le loro scelte di fronte al nuovo scenario dei tassi. L'emorragia dei depositi ha creato - solo per quel tipo di banca - un effetto negativo. Non siamo di fronte a una crisi generalizzata, ma sarà importante vedere i prossimi passaggi dell'autorità di vigilanza».
Cosa significa intervenire se non c'è un salvataggio pubblico?
«Fare in modo che si crei una rete privata di salvataggio. La Fed ha escluso che i contribuenti paghino. È una lezione per il futuro fare in modo che si creino queste reti e siano istituzionalizzate. È importante che sia il privato a intervenire quando c'è un default di una singola azienda e che non ci sia l'aspettativa di un intervento pubblico».
Il deposito bancario è esente da rischi
«Avere un'assicurazione sui depositi generale non significa che non ci possano essere casi specifici in cui quelle norme verranno applicate. Negli Usa la copertura è a 250mila dollari. In questa situazione di emergenza la soglia potrebbe essere superata. L'importante è però che il caso resti circoscritto».
La vigilanza ha commesso errori?
«A oggi non esistono dati su comportamenti fraudolenti. Siamo di fronte a un modello di banca speciale il cui attivo, molto rischioso, non è stato in grado di rispondere al ritiro dei depositi. L'equazione se la banca è fallita, c'è stato senz'altro un problema di vigilanza è una sciocchezza. Certo la regolamentazione Usa è meno stringente di quella europea. Ma questo deve tranquillizzarci».
Con i tassi al 4,5% negli Usa è più arduo accedere al credito. La politica monetaria anti-inflazione non rischia di creare effetti negativi al di là delle intenzioni?
«Il problema non è la politica monetaria restrittiva, ma come viene attuata. Non è ancora restrittiva perché è tale se i tassi di interesse reali (al netto dell'inflazione, ndr) sono positivi, ma attualmente sono zero o negativi. Sia la Fed che la Bce stanno sbagliando politica monetaria: hanno smesso di annunciare quello che faranno e questo aumenta l'incertezza. Se fossero più chiare e trasparenti e si assumessero le loro responsabilità, probabilmente queste incognite sarebbero minimizzate. I tassi di interesse positivi nominali e reali rappresentano la normalità. Ora c'è una gigantesca bolla di liquidità, gonfiata nell'ultimo decennio. Lo sgonfiamento può avvenire in due modi. Uno, buono e graduale, coincide con la riduzione dell'indebitamento da parte di famiglie e imprese. L'altro implica lo scoppio della bolla».
Ma si possono chiamare in causa le banche centrali?
«Vanno chiamate in causa per la totale assenza di trasparenza con cui stanno gestendo questa fase di ritorno alla normalità. Questo è un atteggiamento irresponsabile perché se mercati, imprese e famiglie conoscessero il percorso di normalizzazione, come lo conoscono in Svezia e Nuova Zelanda, questo - a parità di condizioni - diminuirebbe l'incertezza, la volatilità e il rischio di tornare a parlare di instabilità finanziaria».
Può spiegare meglio?
«In questo momento Bce e Fed non sono né trasparenti né credibili. Il loro silenzio è opportunistico dopo un anno e mezzo di previsioni sbagliate. Poi, c'è l'ignavia dei politici che, invece di lamentarsi dei tassi, dovrebbero lamentarsi dell'opacità delle banche centrali».
Il timore del
contagio ha senso?«In questo momento è assolutamente ingiustificato. Certo, se le banche centrali continueranno a essere opache, o se la Fed sbaglia come fece prima di Lehman Brothers, del diman non v'è certezza».
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