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Bankitalia e la finanziaria fatta dai partiti

In condizioni politiche normali, l'audizione di ieri del capo del Servizio struttura economica della Banca d'Italia, Fabrizio Balassone, sulla manovra per il 2022, equivarrebbe a un attacco al governo

Bankitalia e la finanziaria fatta dai partiti

In condizioni politiche normali, l'audizione di ieri del capo del Servizio struttura economica della Banca d'Italia, Fabrizio Balassone, sulla manovra per il 2022, equivarrebbe a un attacco al governo. Le critiche sono numerose e distribuite su tutti i principali capitoli della manovra. Nelle condizioni date, invece, e cioè con un ex governatore di Bankitalia a Palazzo Chigi e un ex direttore generale al Mef, le cose assumono un significato ben diverso. Le critiche di via Nazionale suonano come una verità rivelata: non c'è un governo più politico di questo governo tecnico.

I rilievi di Bankitalia sono equamente distribuiti tra le diverse ideologie che formano questa maggioranza di «unità nazionale». Quando Balassone afferma che gli 8 miliardi a disposizione per il Fisco andrebbero utilizzati tutti per il taglio del cuneo fiscale, a favore del lavoro dipendente, non fa che confermare la posizione dello stesso ministro Franco; stravolta, però, per accontentare le spinte della Lega (e pure di Confindustria) verso un taglio orizzontale delle tasse (l'Irap, gli autonomi).

Così, parlando delle bandiere dei Cinque Stelle, quali reddito di cittadinanza e bonus edilizi, gli appunti degli economisti della banca centrale sono sia sulle mancate correzioni alle varie storture del sussidio, sia sul discutibile impiego di risorse per micro-lavori private a scapito, per esempio, di grandi opere pubbliche. In entrambi i casi il principio che sia Draghi, sia Franco sposano per la loro storia e cultura, e cioè quello di massimizzare l'efficienza degli investimenti effettuati con i soldi dei contribuenti, viene superato per motivi ideologici. Lo stesso vale per l'utilizzo assai generoso, soprattutto per la loro durata, degli ammortizzatori sociali, fortemente voluto dai sindacati e in particolare dalla Cgil - dunque, per analogia sempre valida, dal Pd. Completa il quadro delle riforme che non possono piacere ai banchieri centrali, quella di un sistema pensionistico che non opti senza esitazioni per la completa equità attuariale. Vale a dire un sistema contributivo puro, nel quale si può anche smettere di lavorare quando si è ancora relativamente giovani, ma senza pretendere di prendere la stessa pensione che spetta a chi decide invece di andare avanti.

La realtà è che la spinta propulsiva che il governo Draghi ha avuto nei suoi primi mesi di vita si è molto indebolita

con l'inizio del semestre bianco. Lasciando sempre più spazio ai partiti. Per i quali l'«unità nazionale» non ha il significato di stare uniti nell'interesse della nazione. Bensì in quello del proprio tornaconto elettorale.

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