Da due deputati eletti nel 2012 alla possibilità di strapparne fra i 240 e i 280 il 7 luglio, fino alla maggioranza assoluta. Con l'exploit del 33%, con 10.6 milioni di voti, 39 deputati su 76 già passati al primo turno e 443 candidati che approdano ai ballottaggi, il traguardo che potrebbe incoronare Jordan Bardella primo ministro di Francia, capo del governo più giovane di sempre e primo esponente dell'ultradestra a entrare a Matignon - residenza ufficiale del premier - è a un passo come non era mai successo prima nella storia della Quinta Repubblica. Mancano cinque giorni al 7 luglio, a quel secondo turno in cui il Rassemblement National, unito al centrodestra di Eric Ciotti, punta alla maggioranza assoluta, ai fatidici 289 seggi su 577. E manca ancora l'ultimo miglio, decisivo. Per questo Bardella, 28 anni, candidato premier dell'ultradestra dall'aplomb e dalle pose ben più di governo che d'opposizione, sfida ormai apertamente il leader de La France Insoumise, Jean Luc Mélenchon, ben più che il presidente Emmanuel Macron, che con Emsemble si è fermato al 20%. «O l'estrema sinistra e la minaccia esistenziale che rappresenta oppure l'unione nazionale attorno ai nostri valori e alla nostra identità», scrive in una lettera aperta ai francesi. La sua partita e quella di Marine Le Pen si giocano contro il Nuoveau front populaire (Nfp) che ha strappato il 28%, contro la gauche «incendiaria», che «adotta una strategia di conflitto permanente», che ha dato al lupo Mélenchon l'opportunità di travestirsi da agnello grazie a una coalizione di cui lui è la vera anima, tanto che Bardella la definisce «un'alleanza del disonore». La sfida è contro l'estremismo di sinistra e l'inciucio tra l'ultra-gauche e i macroniani. E la coalizione di sinistra e quella presidenziale servono al duo Bardella-Le Pen un'arma di lotta su un piatto d'argento annunciando la desistenza, pur di non far vincere Rn. Anche per questo Bardella fa appello agli elettori di ogni area, compresa la gauche moderata: «Tendo la mano a tutti gli elettori, di destra, centro, ma anche della sinistra ragionevole», dichiara dopo il travolgente 29% del primo turno, che nell'alleanza con i Repubblicani di Ciotti (3,9%) svetta al 33%. Sia il candidato premier di Rn sia Marine Le Pen, leader e anima della destra radicale che «si appresta ad arrivare alle più alte cariche» - come ha ammesso Macron - si candidano loro stessi, sfruttando lo stigma che li ha sempre inseguiti e forti dell'intesa con i moderati di Ciotti, a forza anti-estremista. E invocano un voto per fare argine contro l'ultra-gauche. Per un cordone sanitario al contrario. L'appello è a quel 10% di moderati di centrodestra (6,5% dei Républicains e 3,6% dei Divers Droite) che al primo turno non hanno voluto stare con Rn e Ciotti ma al secondo potrebbero cedere. È un appello anche a quegli elettori di sinistra che alle europee non hanno voluto votare l'ultragauche. Dal suo feudo di Hénin-Beaumont, rieletta con il 58%, Marine avverte: «Lo nascondono, ma è evidente che sarà Mélenchon il primo ministro» in caso di vittoria della sinistra, è la previsione. La speranza è che Rn faccia il pieno domenica. Ma gli accordi di desistenza che si chiudono oggi cambiano il quadro, anche delle proiezioni più rosee. Con uno sbarramento parziale, l'ultradestra può arrivare a 280 seggi, con uno totale a 261.
Per la prima volta c'è chi, come il portavoce di Rn, Sébastien Chenu, appena rieletto deputato, ammette che anche una maggioranza relativa potrebbe bastare per governare. Magari con un appoggio esterno dei Repubblicani o di quei deputati riottosi a entrare nell'esecutivo Bardella, ma decisi a non bloccare il Paese.
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