Mohammed al Bashir, scelto dal capo dei ribelli jihadisti, come primo ministro di transizione in Siria, è un ingegnere laureato in Sharia, la dura legge del Corano. Non sarà facile pacificare il Paese, puzzle di etnie, confessioni, gruppi armati ed evitare una balcanizzazione o spaccatura alla libica. Mohamed al Jallali, il premier del regime di Assad rimasto a Damasco per il passaggio dei poteri, è stato subito messo da parte. Il nuovo premier è un fedelissimo di Abu Mohammad al Jolani, nome di battaglia del leader di Hayat Tahrir al Sham, la forza trainante jihadista entrata a Damasco. Al Bashir, classe '83, oppositore della prima ora, si è fatto le ossa a Idlib, dove si erano ritirate le forze ribelli, che sembravano sconfitte da Assad grazie a russi, Hezbollah e iraniani. Ingegnere elettronico laureato in Sharia nel 2021 era direttore dell'educazione islamica del governo d'opposizione di Salvezza nazionale. Un sistema stabile nell'area controllata dai ribelli al confine con la Turchia, ma autoritario. Nel gennaio del 2024 la shura, il direttorio islamico del governo di Salvezza, lo ha nominato primo ministro. Da ieri è il premier di tutta la Siria e come primo atto di transizione, non stupido, è stata annunciata l'amnistia per i soldati di Assad che erano in servizio di leva.
Il primo ostacolo alla stabilità del Paese sono i gruppi armati con alle spalle una dozzina d'anni di guerra civile. La stessa formazione che appare vincente, l'Hayat Tahrir al Sham (Hts), il Comitato di liberazione del Levante, è nata, dopo aver preso le distanze da Al Qaida, da una fusione di gruppi ben diversi fra loro. L'Harakat Nour al Din al Zinki, un tempo pilotato dagli Usa, Liwa al Haq, che voleva l'instaurazione dello Stato islamico oltre a Jaysh al Sunna e Jabhat Ansar al Din, che hanno come obiettivo la riconquista di Gerusalemme. Quest'unione ha consolidato il governo di Salvezza nazionale a Idlib, da dove salta fuori il nuovo premier siriano di transizione. Hts però non è l'unica forza jihadista. Lo sconfitto Stato islamico non è mai morto e ha ancora basi e cellule a cominciare dalla zona centrale desertica di Palmira. Gli americani, negli ultimi giorni, hanno bombardato 75 obiettivi dell'Isis per evitare che i seguaci del Califfato approfittassero della caduta del regime. A Sud di Damasco ci sono i drusi di As Suwayda e i sunniti di Daraa, autonomi rispetto ai nuovi padroni di Damasco. La zona nord orientale del paese, che confina con Irak e Turchia, è in mano alle Forze democratiche siriane composte soprattutto dai miliziani curdi dello Ypg, ma anche da formazioni assire e arabe. Le Fds conterebbero su 30mila combattenti e molti sono donne. I curdi, appoggiati dagli Usa hanno liberato Raqqa, la storica capitale dello Stato islamico. Ieri i curdi hanno ribadito che «dobbiamo essere inclusi in tutti i dibattiti e discussioni sul futuro della Siria». Non la pensa così l'Esercito nazionale siriano, armato e finanziato da Ankara, che ha arruolato turcomanni, jihadisti e i resti del Free syrian army, il primo gruppo armato, all'inizio sponsorizzato dagli Usa. I giannizzeri della Turchia, accusati di crimini di guerra, hanno appoggiato l'avanzata dell'Hts ad Aleppo per poi concentrarsi contro i curdi cacciandoli da Tal Rifaat, nel Nord. E avrebbero anche conquistato, dopo violenti combattimenti, la roccaforte di Manbij.
La Turchia vuole una zona cuscinetto e farla finita con lo Ypg accusato di terrorismo. Il rischio è che la Siria si balcanizzi con milizie contrapposte o si spezzi in due, come in Libia, fra l'Est curdo filo occidentale e l'Ovest arabo filo jihadista.
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