"Basta coi nuovi mezzadri, sono degli inganna-popolo". Intervista a Ettore Prandini

Il presidente Coldiretti: "Confagricoltura? Che errore favorire UnionFood. Sì all'origine europea dei prodotti, no a semafori come il Nutri-Score"

"Basta coi nuovi mezzadri, sono degli inganna-popolo". Intervista a Ettore Prandini

Manifesti di ieri e di oggi con identica grafica essenziale, concepita per esaltare parole d'ordine da sparare come proiettili; pagine di pubblicità di forte impatto che colpiscono per il soggetto e il linguaggio tagliente; accuse gravi lanciate dall'alleata Filiera Italia (si veda l'intervista a Luigi Scordamaglia sul Giornale di domenica 26 maggio) contro gli «usurpatori della dieta mediterranea». Insomma, un'offensiva a 360 gradi guidata da Coldiretti che fa strame dei sofismi e delle mistificazioni messe in circolo dalla rivale Confagricoltura. Con quale obiettivo? Lo spiega al Giornale Ettore Prandini, presidente della più potente organizzazione degli agricoltori, che ci ha fornito in anteprima alcuni manifesti - pubblicati nella pagina a fronte - in fase di diffusione lungo tutta la Penisola.

Prandini, Coldiretti compie ottant'anni, segnati sempre da battaglie per il reddito degli agricoltori. Oggi per che cosa vi battete?

«La difesa del reddito è anche oggi centrale per la sicurezza alimentare dell'Italia e per la salute dei cittadini. Senza imprese agricole non avremmo cibo italiano. Noi reggiamo un sistema che vale oltre 620 miliardi di euro dal campo alla tavola, passando per ristorazione e turismo enogastronomico. E Paolo Bonomi, fondatore della Coldiretti, aveva capito questa centralità già negli anni Cinquanta, in piena ricostruzione».

Perché riproporre oggi il manifesto che nel 1959 suonò l'allarme per gli agricoltori italiani davanti alla reazione dei nobili latifondisti?

«Perché non dobbiamo mai dimenticare. Bonomi è stato un grande protagonista della rinascita dell'Italia, uno statista vero. Riuscì a far progredire milioni di mezzadri in coltivatori diretti. Dando loro voce e rappresentanza, assicurando diritti come la mutua e la pensione, facendo sistema con cooperative e industrie alimentari che lavoravano insieme per far rinascere il Paese. Un modello di collaborazione per noi ancora attualissimo».

Per buona memoria, ricordiamo che Bonomi fu il protagonista della riforma agraria che negli anni '50 del secolo scorso sottrasse 2 milioni di ettari al latifondo improduttivo. Ma lo strappo non fu privo di conseguenze.

«È così. Sotto la guida del Principe Ruspoli nacquero i centri di azione agraria guidati da gruppi di aristocratici proprietari terrieri che mandavano i loro mezzadri in piazza con i loro trattori a protestare, anche violentemente, contro Coldiretti. Alla fine vinsero i nuovi agricoltori».

Sembra un film visto da poco, con la protesta dei trattori d'inizio anno. Crede ci fosse una regia anche in questo caso? Il vostro nuovo manifesto, che somiglia tanto a quello di Bonomi, non esita a fare nomi e cognomi.

«La storia spesso si ripete. I nuovi mezzadri sono dei capi inganna-popolo che abbiamo dovuto denunciare per le falsità messe in giro contro di noi. Ma i potentati cambiano. Coldiretti resta fedele alla sua linea di forte difesa degli interessi degli agricoltori e della salute dei cittadini».

Nel manifesto c'è di tutto. Contro chi esattamente intendete muovere guerra?

«Contro chi oggi rappresenta quella parte di multinazionali interessate alla diffusione del cibo artificiale fatto in laboratorio. Contro chi vorrebbe ricoprire di pannelli solari tutto ciò che non è edificato o edificabile. Contro chi sostiene il Nutri-Score in Europa e tenta di mettere le mani sul Made in Italy fino a svilire la dieta mediterranea. Ciò che dispiace è che questi colossi del food si muovono con al traino anche chi dovrebbe rappresentare gli interessi degli agricoltori».

Lei non fa nomi ma è chiaro che si riferisce alla Confagricoltura guidata da Massimiliano Giansante.

«Lo dico con dispiacere: non ha senso favorire un'associazione come UnionFood che rappresenta gruppi globali del cibo omologato, rischiando di svilire un patrimonio incommensurabile come la dieta mediterranea. Noi non ci stiamo. E con noi ci sono decine di sigle, da consumatori ad ambientalisti, che la pensano allo stesso modo. Non è una guerra tra sindacati, in gioco c'è l'identità del nostro sistema agroalimentare».

C'è però chi vi accusa di eccessiva rigidità, di voler imporre un regime autarchico, di sovranismo a tavola, di guidare l'auto girati all'indietro. Come rispondete?

«Niente di più falso. La nostra storia ci ha portato a costruire un'idea di crescita e sviluppo del settore che coinvolge il consumatore e si traduce in qualità, sicurezza, sostenibilità e sviluppo dei territori rurali. In questo patto con il consumatore ci siamo impegnati a fare del made in Italy agroalimentare e delle campagne italiane un elemento in cui riporre fiducia per i nostri consumatori e per quelli oltre confine».

Non state volando un po' troppo alto?

«Per niente. La nostra storia ci consegna un ruolo e dei valori che non sono negoziabili e su cui si fonda anche la nostra sopravvivenza economica: siamo usciti dall'era del prodotto agricolo come commodity e siamo entrati in quella dell'agricoltura come tratto che più di altri distingue e dà valore a quello che mangiamo. La nostra vera rivoluzione è stata passare da produttori di materie prime a produttori di cibo. I mercati di vendita diretta di Campagna amica sono l'esempio più esplicito di come i nostri coltivatori diretti abbiano sfruttato l'occasione della multifunzionalità e della legge di orientamento. Così come il lavoro sull'internazionalizzazione e l'export del vero Made in Italy».

Insomma, per voi non è un caso che l'Italia abbia il più alto numero di Dop e Igp tra i paesi europei...

«Proprio così. E non è un caso che sia il paese in cui l'agricoltura è più sostenibile. Non è un caso che la bellezza del paesaggio che da essa è stato modellato e la qualità che offre, siano una tentazione turistica senza eguali. Questa è la nostra idea di agricoltura che, necessariamente, contrapponiamo a quella dell'omologazione e ai suoi protagonisti, che nei nostri documenti abbiamo chiaramente individuato. E voglio chiarire che noi non siamo contro l'industria, grande o piccola che sia».

Eppure c'è chi lo sostiene, addirittura vi si accusa di praticare una forma di moderno luddismo.

«Sciocchezze. Noi collaboriamo attivamente con moltissime industrie nazionali e internazionali, così come con tante cooperative, che come noi vogliono investire su un modello che valorizzi i prodotti al 100% italiani. Fatti con prodotti agricoli italiani coltivati o allevati nel nostro Paese e trasformati qui. Si tratta di un modello che guarda e sempre di più guarderà alla equa ripartizione del valore e a corretti rapporti di filiera. La fondazione Filiera Italia è nata proprio per rappresentare queste esperienze. Saremo a giugno a New York alla fiera Summer Fancy Food, la più importante degli Stati Uniti, proprio come ambasciatori del sistema Italia dal punto di vista agroalimentare».

Le industrie cui si riferisce sono al vostro fianco anche nella battaglia per l'origine dichiarata con etichetta obbligatoria?

«In modo convinto, proprio perché la trasparenza è un modo per difendere questo lavoro di distintività dall'omologazione».

Ha parlato del Nutri-Score. Perché lo combattete con tanta determinazione?

«Perché è una forma di codificazione nutrizionale che inganna i cittadini invece di informali. Dà semaforo verde a una bibita gassata senza zucchero o a una busta di patatine surgelate e semaforo rosso al Parmigiano Reggiano, al Grana Padano, a una marmellata biologica di mirtilli».

Una follia.

«Non tanto follia, perché c'è chi ha fatto del Nutri-Score un obiettivo, così da spostare il valore a valle, separando, sottraendo e usando sostanze artificiali, che nessuno userebbe per cucinare».

Possiamo dire che per l'Italia il pericolo è scampato?

«Finora lo abbiamo combattuto con successo. E non arretreremo».

Siamo alla vigilia del voto europeo. Dalla nuova Commissione cosa vi aspettate sul fronte agricolo?

«Una politica più flessibile e concretamente in grado di garantire l'obiettivo dell'auto-sufficienza alimentare. Chiediamo inoltre che gli sforzi che noi agricoltori facciamo per essere sempre più sostenibili non siano vani, ossia non siano solo costi e perdita di competitività per i nostri agricoltori».

Sia più esplicito.

«Non possiamo prenderci in giro, imponendo standard impossibili ai nostri agricoltori importando tutto quello che capita. Così il mondo sarà più inquinato e quello che mangiamo meno sicuro. Per questo chiediamo che ci sia reciprocità degli standard ambientali, sanitari, lavorativi e di benessere animale tra gli agricoltori europei e quelli dei paesi da dove importiamo. Vogliamo una competizione leale e garanzie per i consumatori. Per questo servono risorse adeguate e regole semplici di attuazione in una riforma complessiva che deve rispondere alle vere esigenze delle imprese».

A quale scopo tanti incontri negli ultimi mesi con i vostri associati? Abbiamo letto di almeno 200mila prese di contatto.

«Stiamo costruendo con loro il nostro programma di lavoro. Lo abbiamo fatto attraverso incontri territoriali in tutta Italia che sono stati l'occasione per confrontarsi su tutte le tematiche delle filiere. Abbiamo parlato anche dei risultati ottenuti in questo ultimo periodo a favore del settore».

Sul piano normativo non vi potete lamentare. Il Decreto Agricoltura è un punto forte a vostro favore.

«Sì, dal governo sono arrivate risposte importanti. Una delle più significative è sicuramente la moratoria dei debiti: potranno usufruirne 145mila imprese che hanno registrato un calo pari ad almeno il 20% del volume d'affari del 2023 sul 2022. Un risultato importante, che vogliamo rafforzare in conversione di legge. Poi, solo per citare alcuni degli interventi significativi, penso al rafforzamento della tutela dalle pratiche sleali con la misura inserita nel decreto che garantisce pagamenti più rapidi alle imprese agricole che ne hanno subite e che in alcuni casi non si sono visti riconoscere nemmeno il costo di produzione. La direttiva europea, che noi abbiamo fortemente voluto e sostenuto anche grazie a Paolo De Castro, nasce proprio per affrontare lo squilibrio tra imprese agricole e acquirenti nella filiera».

A proposito di energie alternative, sul fotovoltaico è stata notata una certa vostra aggressività. C'è qualche parte che vi vede a favore?

«Siamo a favore della decisione di tutelare l'agricoltura con un no secco agli speculatori del fotovoltaico selvaggio a terra. Ribadisco ancora una volta che Coldiretti non è contro le rinnovabili, anzi. Il modello vincente di transizione energetica per noi è quello che vede le imprese agricole protagoniste attraverso le comunità energetiche, gli impianti solari sui tetti, l'agrivoltaico sostenibile e sospeso da terra, il biogas, il biometano, l'idroelettrico che consentono di integrare il reddito degli agricoltori con una ricaduta positiva sulle colture e sul territorio. Penso alla Sicilia che sta vivendo un'invasione di pannelli e una crisi legata alla siccità senza precedenti».

È per questo che avete organizzato una grande manifestazione a Palermo? Per bloccare quell'invasione?

«Mi faccia esprimere tutta la nostra vicinanza agli agricoltori che stanno vivendo il dramma della mancata produzione e della perdita degli animali per mancanza di acqua e cibo. È anzitutto per questo che siamo scesi in piazza a Palermo con 20mila agricoltori, per avere risposte concrete».

A proposito di manifestazioni, sulla difesa del made in Italy state muovendovi sul territorio con particolare predilezione per porti e dogane.

«Sì, a Salerno e Bari abbiamo messo in atto due blitz con i nostri agricoltori contro l'invasione di prodotti stranieri. Un'operazione che segue quella fatta al Brennero meno di due mesi fa, per dire basta al falso cibo italiano che entra in Italia e basta all'import sleale. Così facendo, si inganna il consumatore e si danneggia l'agricoltore: non è accettabile».

Che cosa chiedete esattamente per limitare il più possibile l'import sleale?

«Dal Brennero ai porti abbiamo rilanciato la richiesta di revisione del criterio dell'ultima trasformazione del Codice doganale sull'origine

dei cibi, quello che oggi permette il furto d'identità dei nostri prodotti e fa vendere come italiano un prosciutto fatto con cosce di maiale provenienti dai Paesi dell'Est. Questa per noi è la madre di tutte le battaglie».

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