Bataclan, processo ai fantasmi. In aula vietato parlare di islam

Fino a gennaio richiesto un linguaggio "eufemizzante". Il tribunale non vuole riferimenti a moschee e imam

Bataclan, processo ai fantasmi. In aula vietato parlare di islam

Sebbene gli attacchi del 13 novembre 2015 a Parigi siano stati rivendicati dall'Isis, nelle udienze sul Bataclan il movente religioso è diventato il grande assente. L'estrema sinistra francese ha faticato a pronunciare la parola terrorismo anche nel ricordo delle vittime, sabato scorso: parlamentari della gauche sommersi di critiche su Twitter, perché incapaci di denunciare la matrice islamica del sangue. Ma sono soprattutto le «regole» del processo in corso a Parigi a lasciare più di un dubbio. Vietato parlare di islam in presenza degli imputati, per esempio; almeno nella recente fase che li ha visti alla sbarra.

Per espressa volontà del presidente del tribunale speciale Jean-Louis Périès, e come da suo avvertimento del 2 novembre, le carte del processo iniziato a settembre sembrano via via scompaginarsi; come pure le aspettative su un procedimento che in nove mesi vedrà i giudici sentenziare sulle responsabilità dei venti a giudizio.

Chiarito che non è ancora tempo di affrontare «i fatti», né tanto meno parlare di «religione», quindi di movente, il processo ha tirato il freno a mano, trasformando l'aula bunker in un magnete di polemiche e frustrazione per le parti civili: «Gli imputati si dipingono come banali sbandati», denuncia Theodora, la giovane ventenne che ha perso lo zio sulla terrazza del cafè La Bonne Bière. Lei come altri, è su tutte le furie: «Vogliamo sapere cosa li ha resi assassini...».

Possibile che manchi il riferimento all'islam? Sì, perché dopo un mese e mezzo di atroci racconti dei superstiti, nei giorni scorsi è stato richiesto un linguaggio «eufemizzante» alle udienze-show concesse alla Salah Abdeslam e associati, con interruzioni censorie che hanno fatto sobbalzare dalle sedie sopravvissuti e accusa. Fuori luogo anche riferimenti a moschee o imam.

Per giorni è stata celebrata la vita di quartiere di presunti assassini, più simile apparentemente alle immagini di un maxi-spot pubblicitario della Nike. In questa fase si cerca «solo» di tracciare i «profili» degli imputati: per parlare della religione che ha spinto a uccidere, embargo fino a gennaio.

Interrogati sulla loro «personalità» e non sui fatti, i venti imputati per terrorismo sono diventati «personaggi». Libertà di sproloquio e di menzogna. Salah ha parlato della sua infanzia felice. Via, il volto truce dell'udienza di settembre, quando si dichiarò orgogliosamente un «combattente» di Daesh che compì quegli attentati per «vendetta» dopo i bombardamenti francesi in Siria. Gli avvocati difensori hanno sfruttato la timeline del processo e cambiato strategia: alla sbarra ci sono angeli di banlieue, fratelli benevoli con poche macchie sul curriculum, vittime di una Francia matrigna anziché indossatori di kalashnikov, proiettili da guerra e coltelli.

«Vogliamo sapere il resto», gridano le famiglie dei morti e i sopravvissuti alla strage. Dopo il ridicolo show dei «santi subito», la lente del processo si sposta ora sulla rotta dei migranti che ha permesso all'Isis di trapiantare terroristi nel cuore dell'Europa. E sul flop dei Servizi francesi. Ieri, riprese le udienze dopo lo stop per le commemorazioni, è stato il turno delle spiegazioni di Bernard Bajolet e Patrick Calvar, allora rispettivamente capo della Direzione generale della Sicurezza esterna (DGSE) e della Sicurezza interna (DGSI). La maggior parte dei membri dei commando del 13 novembre era nota, ha ammesso il primo, ma «non sapevamo che avrebbero preso parte a operazioni in Europa». Il secondo ha puntato il dito sul flusso migratorio dell'estate 2015 di merkeliana maternità; profughi di cui vari jihadisti «hanno approfittato». Resta la reticenza a dare un nome all'ideologia che ha lasciato 130 morti e oltre 350 feriti.

E il rischio paralisi prima del verdetto del 24 e 25 maggio. Il tribunale dei tabù ha chiamato ieri pure un professore, per facilitarsi la lettura dei fatti: di cui, però, potrà chieder conto ai ragazzotti diventati criminali apparentemente quasi per caso solo più avanti.

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