Molti hanno pensato a un terremoto. Un'enorme esplosione, seguita da una marea di vetri in frantumi. O forse un'autobomba, un attacco aereo. Erano le 18,07, una strana nuvola rosso-arancio fluttuava nel cielo sopra il porto di Beirut, il 4 agosto di un anno fa. In strada, gli allarmi delle auto stridevano. L'aria era piena di polvere, la gente correva intorno, urlava, confusa. Gli ospedali caotici erano assaltati dalle persone per essere curate a causa delle ferite multiple causate da vetri schizzati fuori dalle finestre delle abitazioni. Chi c'era ha detto che le scene che si vedevano erano peggiori di tutte quelle durante le guerre in Siria e Iraq.
Beirut ieri si è fermata per la commemorazione delle vittime al porto. Le proteste hanno invaso il centro della capitale. C'è stata una rissa tra i manifestanti - che hanno cercato di prendere d'assalto il parlamento - e la polizia antisommossa, decine i feriti. In testa ai cortei le famiglie delle 218 vittime, che attendono ancora giustizia e puntano il dito contro la classe politica. In un discorso in tv il presidente Michel Aoun ha promesso che appoggerà un'inchiesta imparziale per arrivare alla verità: «Una giustizia in ritardo non è giustizia». Ma nessuno ormai gli crede più.
Ma non finisce qui: la nave sta affondando. La situazione economica - aggravata anche dall'emergenza pandemica - è sempre più seria. Con metà delle famiglie che fatica ad acquistare il cibo e le farmacie sguarnite persino di medicinali di base come il paracetamolo per il mancato pagamento degli importatori stranieri. Il naufragio rischia però di trasformarsi in una presa del paese da parte della milizia sciita Hezbollah e dell'Iran. Il premier incaricato Saad Hariri si è dimesso. E Aoun ha affidato l'incarico di formare un nuovo governo a Najib Mikati, considerato anche «l'uomo più corrotto del Libano», già due volte alla guida del governo e sospettato di aver sottratto somme immense allo Stato con contratti favorevoli per la sua impresa Investcom. La sua fortuna, secondo Forbes, ammonta a 2,7 miliardi di dollari. Mikati, per quanto sunnita, ha ottimi rapporti con il regime siriano dello sciita Bashar al-Assad e ha costruito il suo impero con ramificazioni in Siria e altri Paesi arabi.
Nel frattempo il collasso del paese sembra ineluttabile. L'erogazione di elettricità è stata ridotta a due ore al giorno per l'esaurimento del combustibile. La mancanza di valuta estera ha reso difficile pagare i fornitori di energia esteri. La lira ha perso il suo valore di dieci volte e i dollari non si trovano più. Le banche rilasciano moneta a un cambio molto sfavorevole, si parla infatti con ironia di «lollar», e non più di dollari, ed è sorto un mercato nero del cambio. Dove sono lunghe le file di persone, così come ai rifornimenti di benzina. C'è infatti scarsità di carburante. Le macchine possono acquistarne solo 30 litri per volta. Le navi cariche di gasolio si sono rifiutate di scaricarlo prima che il denaro fosse trasferito sui conti dei loro proprietari. Teheran però è già pronta a offrire benzina gratis. In caso di accordo sul nucleare, gli iraniani avrebbero le risorse per inviare aiuti. E in molte aree del Paese l'acqua è razionata.
L'instabilità del Libano potrebbe avere ripercussioni anche al di fuori dei suoi confini e destabilizzare tutta l'area, compreso l'arcinemico Israele. E di sera la capitale mediorientale più vivace e libertina - che non dormiva mai - è avvolta dal buio e dal silenzio.
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