«Se c'è qualcuno ad aver tradito la Lega è Bossi, non Salvini! È la risposta lapidaria che arriva da via Bellerio, sede del Carroccio, ad urne ancora aperte. È lì che sono riuniti i leghisti capitanati da Matteo Salvini. Non sembrano affatto preoccupati del sostegno del senatùr al candidato di Forza Italia (ex leghista della prima ora) Marco Reguzzoni, che ha deciso di scendere in campo con gli azzurri da indipendente. «Non ha consenso, non lo segue nessuno, di cosa dovremmo preoccuparci? Su 10 militanti in 9 lo odiano, questa operazione mi sembra abbastanza strana». Ci dicono fonti autorevoli interne al partito che, però, preferiscono restare anonime per non contravvenire alla linea (intransigente) del segretario della Lega: «Nessuna polemica, avanti a testa bassa». Nemmeno dallo staff del Vicepremier Salvini si sbilanciano. Anzi, non filtra proprio nulla se non un secco «nessun commento». L'unico a rompere il silenzio è il capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo: «Mi rifiuto di credere che Bossi abbia potuto pensare e dire una cosa simile». Crede che sia stato strumentalizzato? - chiediamo - «Non aggiungo altro, mi dispiace». Ma il sospetto di una strumentalizzazione c'è, eccome. In alcune chat leghiste si parla di un uso del senatùr per fini «personalistici». Il riferimento è all'ex parlamentare ed ex segretario della Lega lombarda Paolo Grimoldi che ha annunciato, vestendo i panni del portavoce, l'intenzione di Bossi di votare per il candidato in lista con gli azzurri. Per Marco Reguzzoni. Non è un mistero che Paolo Grimoldi faccia di tutto per ostacolare il percorso interno alla Lega del ministro Salvini ed emergere. Ad oggi, però, senza successo. A dirlo sono i fatti, come il «comitato del nord», fondato in contrapposizione alla Lega poco prima delle elezioni regionali in Lombardia. Un flop. Un fatto è certo, Umberto Bossi ha votato. Accompagnato dal figlio Renzo e dal suo storico assistente non ha proferito parola. Sui social è circolato il video del senatur al seggio di via Fabriano, Milano, a pochi passi dalla sede del Carroccio. Il partito che fondò lui stesso 40 anni fa. Camicia scura, sguardo sereno. Il solito Bossi, insomma, ma senza il fazzoletto verde. Senza il segno distintivo del leghista duro e puro. Quello del «prima il nord». Un particolare che non è sfuggito, e che molti hanno interpretato come segno tangibile dello strappo definitivo. Una sorta di protesta contro la Lega di Matteo Salvini che, a dire di Paolo Grimoldi, ha tradito gli ideali del partito creato da Bossi.
«Il voto agli uomini della Lega nord, seppur dentro un partito come forza Italia, credo sia l'unico vero atto politico innovativo di questa fiacca tornata elettorale» ha commentato un altro dissidente, Gianni Fava, ex assessore lombardo all'Agricoltura ed ex sfidante di Salvini all'ultimo congresso della Lega nel 2017. Più che una mossa politica per indebolire il leader leghista, l'operazione, per molti, ha il sapore amaro della vendetta. Piccola e «personalistica», per usare le parole di chi è vicino al capitano.
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