Berlino fa la morale all'Italia Ma la colpa della crisi è tedesca

Il governatore della Bundesbank a Roma ha puntato il dito sulla sostenibilità del debito. Tutto nasce dall'austerità suicida

Berlino fa la morale  all'Italia Ma la colpa della crisi è tedesca

Manzoni rintracciò un Anonimo seicentesco. Più modestamente, il sottoscritto, per uno di quegli strani fenomeni del web che richiederebbero un nuovo Freud per essere interpretati, si è trovato nel pc un Apocrifo di Palazzo Koch. Una bozza provvisoria del discorso che il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, terrà a Berlino, al civico 1 di Hiroshimastraße, in replica a quello tenuto a Roma, a Villa Olmone, dal suo omologo della Bundesbank, Jens Weidmann. E mi si è aperto sullo schermo un intervento su cui sono così d'accordo che pare scritto da me. E comincia così: la teoria economica è di per sé complessa e deve essere anche misurata sui fatti.

1 Tanto per iniziare, si dovrebbe spiegare a Weidmann che la tesi per cui l'indebitamento di un Paese si può riflettere sui tassi di interesse di tutta l'area si basa sull'assunto che l'indebitamento fa aumentare la domanda di risparmio e quindi i tassi di interesse che ne rappresentano il prezzo. Ma è tutta la domanda di risparmio, non solo quella di parte pubblica, che conta, ed è noto che, se si guarda all'indebitamento totale di un Paese, le classifiche in Europa cambiano.

2 La storia racconta, per esempio, che è stata la domanda di risparmio generata in Germania dalla riunificazione che causò, per un periodo non breve, alti tassi di interesse in Europa, sopportati da tutti gli altri Paesi. Questo non per rinfacciare colpe, ma per ripristinare la verità scientifica.

3 Poi, dai fatti, al contrario di quanto sostenuto da Weidmann, non sembra che la spinta alla domanda scaturita dagli alti indebitamenti abbia prodotto inflazione e messo in discussione la stabilità dei prezzi, obiettivo statutario della Bce. Appare chiaro, piuttosto, sempre dai fatti, che siano state le politiche imposte dalla Germania a tutti gli altri Paesi dell'Eurozona, ad aver causato la deflazione in cui versiamo ora e messo in crisi, questa volta sì, il mandato della Bce.

4 Ne deriva che le sortite di Weidmann a Roma sono state più che altro un attacco alla politica monetaria di Draghi, pur fingendone una difesa, e alla stabilità dell'euro. Mettere di fatto in discussione la sicurezza dei titoli di Stato di Paesi dell'area euro, quindi la loro solvibilità contestandone il livello di rischio, significa dare segnali destabilizzanti ai mercati. Un banchiere centrale non dovrebbe farlo. Quella di Weidmann a Roma il 26 aprile scorso ha rappresentato una pericolosissima azione, uguale e contraria al famoso «Will do whatever it takes» con il quale Draghi da Londra il 26 luglio 2012 spense l'incendio che stava portando all'implosione della moneta unica.

Ribadiamo: che Weidmann abbia parlato come ha fatto a Roma è stata una manifestazione di irresponsabilità non degna di un banchiere centrale. Evidentemente ai tedeschi non sono bastati i danni fatti al sorgere della crisi greca, quando la loro miopia ha innescato una crisi più ampia di quel che era davvero e con costi che sono stati pagati, e sono ancora pagati, da tutti i Paesi europei.

5 Tanto più che il pescatore che realizza «una pesca il più possibile cospicua senza riguardo per altri pescatori o per le generazioni future di pescatori», come sostenuto da Weidmann, è proprio la Germania, che da quando c'è l'euro ha conseguito un doppio guadagno: da un lato, l'aumento delle esportazioni a scapito degli altri Paesi europei grazie al tasso di cambio strutturalmente favorevole e sottovalutato nel tempo; dall'altro, la riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico conseguente alla crisi, quando i Bund sono diventati «bene rifugio», aumentando il loro valore e riducendo il rendimento, e consentendo alle imprese tedesche di finanziarsi a tassi più bassi rispetto alle loro concorrenti di altri Paesi dell'Eurozona.

6 È necessario, inoltre, evitare di fare confusione tra problemi differenti. Vi è un tema di trovare in Europa nuovi strumenti di soluzione ai «fallimenti sovrani»? La questione è, più che altro, quella di assicurare che tali fallimenti non avvengano e che, pertanto, siano previste regole di ristrutturazione dei debiti sovrani che da un lato non penalizzino i risparmiatori, e dall'altro frenino il moral hazard di governi tentati dall'irresponsabilità finanziaria. Altra cosa è, poi, impedire che siano le stesse regole, o annunci su di esse, a determinare crisi di fiducia da cui scaturiscono instabilità finanziaria e crisi debitorie.

7 Si pone, dunque, il problema di stabilire ex ante meccanismi chiari di ristrutturazione dei debiti sovrani nell'area euro che non pongano vincoli non sostenibili alle economie dei Paesi interessati, evitando di creare allarme nei mercati. Insomma, bisogna uscire dal «non detto».

8 Anche qui, un esempio. L'Europa si trova nuovamente di fronte al problema del debito greco e deve prendere decisioni importanti entro giugno. È noto che, per continuare a essere della partita, il Fondo monetario internazionale chiede all'Europa di accettare una ristrutturazione drastica del debito greco. In altri termini, il Fondo monetario chiede di uscire dalla finzione per cui si pensa che la Grecia, con il debito che si ritrova, possa continuare a seguire le ricette economiche impartite dalla Troika. Partiamo, allora, dal caso Grecia per stabilire regole generali che valgano per il futuro.

9 Ma torniamo all'offensiva di Weidmann, che più che alla Grecia guarda all'Italia. E non tanto per ostilità preconcetta verso gli italiani, quanto perché, come abbiamo detto, è in gioco la politica monetaria dell'Eurozona, e con essa, inscindibilmente, la politica di bilancio. La prima, infatti, rimarrà inefficace senza la seconda. Di qui l'attacco concentrico delle ultime settimane, di cui si è reso protagonista anche il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, a onor del vero motivato anche da difficoltà interne alla Germania di cui, peraltro, è bene tener conto.

10 L'Italia non è davanti a un problema di fallimento sovrano o di solvibilità, bensì ha un problema di crescita, come il resto dell'Eurozona, ma in modo molto più grave, che richiede politiche drastiche di rilancio, a cui affiancare strategie ad hoc di rientro dal debito. Sul tema del debito pubblico, in un non lontano passato si discussero varie ipotesi di intervento, mentre oggi sembra che il problema non esista più e il governo discute solo di insignificanti limature, con orizzonti di breve o brevissimo periodo.

Il pericolo è che in uno scontro politico ormai chiaro, da parte tedesca si tenti di indebolire, e implicitamente minacciare, un altro Paese, magari importante come l'Italia, per avere partita vinta su una strategia economica che si è già dimostrata fallimentare per tutto il continente negli anni della crisi. Dietro le parole apparentemente tecniche di Weidmann e di Schäuble si coglie infatti un esplicito avvertimento all'Italia: attenzione perché se rilanciamo il dubbio sulla sostenibilità del vostro debito pubblico vi mettiamo immediatamente nei guai, ed è bene che anche la Bce intenda.

Il governatore della Bundesbank è venuto in Italia a impartire la sua lezione agli italiani, dimenticando le gravissime colpe tedesche che, imponendo una suicida politica di austerità, hanno messo in ginocchio l'Europa tutta.

Quelle negli occhi dell'Italia non sono pagliuzze, lo sappiamo bene, ma nell'occhio di Weidmann, Schäuble e Merkel c'è una trave. Anzi due almeno. Il surplus commerciale fuori norma, che la Germania persegue impunemente da anni, e la fragilità occultata dalle banche tedesche, che hanno in pancia quantità enormi di derivati.

Noi siamo certamente contro il governo Renzi, ma allo stesso tempo teniamo alla prosperità del nostro Paese. Per questo non ci piace il tono di Weidmann: quando si pretende di insegnare la verità, bisogna comunicarla tutta intera.

Non sempre le cicale del Sud sono da disprezzare, né le formiche del Nord hanno sempre ragione. E, in ogni caso, sono insopportabili le formiche egoiste, saccenti, revansciste e magari un po' razziste. Non ce ne voglia Weidmann, ma tali formiche meglio perderle che trovarle.

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