Ormai il dibattito politico in seno al Pd, più diviso che mai, sembra un gioco: perde chi resta con il cerino in mano. E Pier Luigi Bersani, dopo l'aut-aut a Renzi ("senza un congresso e un vero dibattito interno rifaccio l'Ulivo"), oggi torna sull'argomento. "Quando dico Ulivo - spiega ai cronisti dell'Ansa a Montecitorio - dico qualcosa che ha una solida cultura costituzionale e punta a mettere insieme la pluralità del centrosinistra. Non ci possiamo rassegnare all'idea di un soggetto chiuso nel proprio campo. Serve una pluralità che vada dalla sinistra radicale al civismo. Poi le forme in cui questa idea si potrà realizzare la troveremo". Quando gli chiedono, nello specifico, come veda il nuovo possibile soggetto politico, Bersani spiega: "L'Ulivo che ho in mente non è un revival del passato, è un Ulivo 4.0".
Ieri Massimo D'Alema aveva frenato, dicendo di non avere intenzione di dare vita ad una scissione. "Non voglio fare un nuovo partito. Ho solo chiesto il congresso del Pd. Ma se non ci sarà una discussione democratica al'interno del partito ognuno sarà libero di fare altre scelte". L'intenzione dunque è chiara: se scissone dovrà essere, la colpa ricadrà (tutta) su Renzi. D'Alema tra l'altro ha ribadito di aver "sempre parlato di movimento per la rinascita del centrosinistra, come ha detto bene oggi Bersani. Da parte mia non esiste la volontà di fare un partito ma mi piacerebbe poter discutere democraticamente all'interno del mio partito. Purtroppo - ha detto D'Alema - non ci viene permesso. Io ho chiesto il congresso e ho ricevuto insulti. Li ho segnati, pro memoria". E l'ex presidente del Consiglio ha pure snocciolato dati. "I sondaggi ci dicono che ci sono tra i 3 e i 5 milioni di elettori del centrosinistra che non votano più il Pd. Se esiste un soggetto capace di richiamare questi italiani al voto, significa che non si indebolisce ma si rafforza il centrosinistra. Due partiti però - concludeva D'Alema - raccoglierebbero molti più voti del solo Pd".
E sul tema delicato del congresso ieri si era fatto sentire anche Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera: "Il Pd deve fare il congresso perché l'intera classe dirigente è scaduta politicamente con la sconfitta del referendum del 4 dicembre e scaduta statutariamente perché eletta nel 2013 e nel 2017 è previsto il rinnovo degli organi. Se votassimo a scadenza naturale, nel febbraio 2018, il congresso sarebbe obbligato, ma il presidente del partito Orfini e il segretario Renzi dal 5 dicembre mattina hanno una sola ossessione: aggirare le norme della nostra comunità per evitare il congresso". Poi aveva rincarato la dose: "Addirittura provano anche a piegare il Parlamento ipotizzando l'ennesima corsa contro il tempo. Continuo ad appellarmi al loro buon senso e spero si fermino in tempo. Se si anticipa il voto di qualche mese, si anticipa il congresso di qualche mese. Non ci sono leadership sine die. Dopo tutto quello che è successo il minimo che una classe dirigente responsabile ha il dovere di fare è confrontarsi".
Insomma, non c'è pace dentro al Pd.
E ormai anche l'ex Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, sembra aver scaricato Renzi, facendo la sponda alla fronda democratica: Nei Paesi civili si va alle elezioni anticipate a scadenza naturale e da noi manca ancora un anno. In Italia c'è stato un abuso di elezioni anticipate".
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