Giorgio Napolitano si schiera apertamente per il voto «a fine legislatura» e per Matteo Renzi è come se il suo peggior incubo si andasse lentamente materializzando. Chi è di casa ai piani alti del Quirinale, infatti, non esclude che la presa di posizione dell'ex capo dello Stato sia o concordata o quantomeno condivisa nel merito con l'attuale inquilino del Colle. E se davvero Sergio Mattarella dovesse decidere di mettersi di traverso sull'ipotesi di elezioni anticipate a giugno per l'ex premier il problema potrebbe diventare insormontabile. Con buona pace dell'ostinazione con cui Renzi insiste sull'andare alle urne, infatti, è comunque il presidente della Repubblica che decide se e quando sciogliere le Camere e indire le elezioni.
Che Mattarella abbia avuto o no un ruolo nella sortita di Napolitano, di certo c'è che da ieri il presidente emerito è di fatto diventato il capofila del partito anti-Renzi. Nei confronti del segretario dem - che proprio lui volle a Palazzo Chigi al posto di Enrico Letta - re Giorgio è stato infatti piuttosto tranchant. «Nei paesi civili - ha detto - si va alle elezioni a scadenza naturale e a noi manca ancora un anno». E giusto per non lasciare dubbi ci ha messo sù il carico da novanta: «Non si va alle urne per il calcolo tattico di qualcuno...». Inutile dire chi è il «qualcuno» cui fa riferimento Napolitano.
Renzi, come è ovvio, non ha gradito. E non solo perché in questi giorni sembra essersi convinto che tutti tramino contro di lui, ma perché è evidente che l'affondo di Napolitano rischia di cambiare gli equilibri dentro il partito del non voto. Di certo li cambia tra le fila degli anti-Renzi, una pattuglia che diventa di giorno in giorno più corposa e compatta. Pier Luigi Bersani, per esempio, ci ha messo meno di due giorni a sciogliere il dubbio e all'Huffington Post ha detto chiaro e tondo che se l'ex premier insiste sulle elezioni anticipate «muore il Pd» e «faremo un nuovo Ulivo». Incredibilmente, insomma, dopo 15 anni Renzi sembra essere riuscito nell'impresa di mettere quasi d'accordo Massimo D'Alema e Bersani. Ma la lista di chi vorrebbe la testa del segretario del Pd non si ferma certo qui. D'altra parte - è cosa nota - nella sua scalata al partito e nei quasi tre anni passati a Palazzo Chigi Renzi si è fatto terra bruciata intorno. Di D'Alema si è detto, insieme ai suoi Comitati per il No che dalla scorsa settimana sono diventati l'embrione di un nuovo partito fuori dal Pd. Poi c'è il fronte meridionale capeggiato da Michele Emiliano e nel quale milita anche Francesco Boccia. Per non parlare della folta pattuglia parlamentare che ha dietro Dario Franceschini, attuale ministro dei Beni culturali, uno che il voto a giugno non lo vede particolarmente di buon occhio e che sta aspettando la prima occasione utile per affondare definitivamente Renzi. Che poi è quello che nel Pd vogliono fare in tanti altri, da Giuseppe Fioroni a Rosy Bindi, tutta gente che qualche voto in Parlamento lo sposta.
Insomma, il partito del non voto inizia ad avere dei numeri non indifferenti e questo anche grazie all'apporto di un cospicuo pezzo di Pd. Numeri che alla Camera ancora non bastano, ma che al Senato possono già essere sufficienti a mettere in minoranza l'asse pro-urne che si è venuto a saldare tra Pd, M5s e Lega.
Merito anche dell'ultima sortita di Renzi che ha deciso di seguire la scia di Beppe Grillo e sostenere che i parlamentari non vogliono andare al voto per maturare il vitalizio. Una sortita che ha fatto infuriare mezzo Pd.
«Così ci delegittima tutti», sosteneva ieri in Transatlantico un ministro dem. «E poi se questi sono i suoi argomenti allora perché non pensare che è lui a volere il voto solo per entrare in Parlamento e prendere uno stipendio che oggi non ha?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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