Della grande, moderna, spettacolare biblioteca annunciata «appena» ventidue anni fa non ci sono per ora neanche le fondamenta. Ma il progetto milanese della Beic, la Biblioteca internazionale di cultura, diventa ieri ugualmente, dannatamente ingombrante. Perché la Procura della Repubblica parte all'attacco, e incrimina i protagonisti della gara che per conto del Comune di Milano scelse chi doveva progettare la Beic: nel mirino ci sono nomi eccellenti dell'architettura a partire da Stefano Boeri, l'archistar protagonista del ridisegno del capoluogo lombardo, e con lui Cino Zucchi e Angelo Lunati. Turbativa d'asta, false attestazioni. Ovvero, gara truccata: decisa da amici a favore di amici.
Ci sono voluti un anno e tre mesi, dopo i primi articoli del Giornale che il 21 e 22 luglio 2022 sollevarono il velo sulla gara per la Beic, assegnata da una commissione presieduta da Boeri. A arrabbiarsi per gli articoli, più di Boeri fu il Comune che vedeva messo in discussione uno dei fiori all'occhiello della giunta di Beppe Sala, e posto sotto tiro l'architetto di riferimento del centrosinistra milanese. Telefonate di fuoco dall'ufficio stampa di Sala, e una replica che ora suona un po' maldestra: «il Comune intende chiarire che lo svolgimento del concorso Beic è avvenuto nel pieno rispetto del bando e delle normative».
Niente affatto, dice ieri la Procura. I pm mandano la Guardia di finanza a perquisire il Comune di Milano e casa e studio di Boeri, ed esce così allo scoperto l'inchiesta che vede l'archistar e Zucchi chiamati a rispondere di avere nascosto l'eclatante conflitto di interessi in cui si trovavano al momento di scegliere il progetto vincitore: «nascondevano la condivisione del medesimo ambiente di lavoro e la coincidenza di settori di interesse scientifico e didattico tra i commissari Boeri e Zucchi, professori ordinari presso il dipartimento di Architettura, e i candidati partecipanti Raffaele Lunati e Giancarlo Floridi»: ovvero i firmatari del progetto vincente. In cordata con Lunati e Floridi, c'è Manuela Fantini: di cui nell'avviso di garanzia viene citata «la frequente collaborazione professionale» con Boeri. Allegato al decreto, l'articolo del Giornale.
Trentatremila metri quadri di biblioteca, otto milioni di euro solo per la progettazione: faceva gola a molti, l'affare Beic. Alla gara si presentarono quarantaquattro progettisti di tutto il mondo. La commissione presieduta da Boeri valutò sulla base di elaborati anonimi (anche se le «mani» si potevano intuire). Dopo l'apertura delle buste, i commissari avrebbero dovuto rendere noti eventuali rapporti con i progettisti vincitori. Boeri e Zucchi tacquero. Ma non tacque il mondo dell'architettura milanese, in cui l'anomalia della assegnazione da amici ad amici iniziò ad agitare le acque. Fino agli articoli del Giornale e all'esposto in Procura di Emilio Battisti, decano dell'ordine professionale.
Ieri Boeri si limita a definire «incredibile» la vicenda. Un anno fa si era spinto un passo più in là: «Certo che conosco i vincitori ma conosco anche buona parte degli sconfitti».
Il problema è che i legami di Boeri con la cordata vincente non si fermano a Lunati, Floridi e Fantini. Nella squadra dei vincitori c'è Paolo Tamburelli, che era redattore della rivista Domus quando la dirigeva Boeri; c'è lo Yellow Office di Francesca Benedetto, già assistente universitaria di Boeri.
Inevitabile, dopo l'iniziativa della Procura, chiedersi come un professionista della esperienza di Boeri non abbia ritenuto doveroso rendere noti per tempo questi rapporti; e come sia possibile che questo sia avvenuto nell'inerzia del Comune di Milano, azionista di maggioranza della Fondazione Beic, alla cui guida siede un altro uomo caro a Beppe Sala: l'ex prefetto Francesco Paolo Tronca, di recente nominato anche alla guida del Pio Albergo Trivulzio, la famosa «Baggina». Di fatto, l'inchiesta della Procura è anche una grossa rogna anche per Sala. Il sindaco ieri si affretta a dire «i lavori per la Beic partiranno comunque». Sulla base di una gara truccata?
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