
Un biglietto di auguri con la firma di Enrico Cuccia. Siamo alla fine del 1989, il Muro è appena caduto, e quel pezzo di carta, che riporta una frase di Goethe, arriva a Bettino Craxi. Craxi lo mostra a Enzo Lo Giudice che lo difenderà nella sanguinosa battaglia giudiziaria dei primi anni Novanta. Oggi quel biglietto profetico atterra nelle pagine del libro L'ultimo comunista che Salvatore Lo Giudice, penalista a sua volta, ha scritto a quattro mani con Francesco Kostner, raccontando la storia del padre. Le sue requisitorie, rocciose. I suoi ragionamenti, spesso controcorrente. Il rapporto con Bettino nella stagione difficile di Mani pulite, quando anche solo spendere una parola a favore di un leader politico poteva sembrare lesa maestà.
Lo Giudice guardava oltre la cronaca ma sapeva anche interpretare i segnali che dalla quotidianità annunciavano un cambiamento. Anzi, una virata della storia.
Non sappiamo esattamente che cosa disse a Craxi davanti a quel foglio, ma sappiamo che l'ex presidente del Consiglio mostrò a lui la letterina del finanziere che diagnosticava la morte imminente della Prima repubblica e le inevitabili manovre che l'avrebbero accompagnata. Cuccia, parafrasando Goethe, prefigurava «un'epoca nuova». E chiedeva probabilmente un giro di valzer, il Palazzo gli appariva zeppo di gente corrotta, lui voleva aprire le finestre e cambiare aria. Del resto lo scenario internazionale era mutato e l'Itala poteva permettersi finalmente il lusso di uno spazio di libertà che non aveva mai avuto.
Di più, Cuccia, secondo Craxi, era portatore di istanze e interessi che partivano proprio dagli alleati americani, grandi sponsor del rinnovamento tricolore.
Solo che Craxi non aveva tutta questa simpatia per il banchiere di via Filodrammatici e non aveva alcuna intenzione di sostituire lo spartito o almeno questa è la convinzione che Lo Giudice senior trasmise al figlio: «In estrema sintesi disse quella sera a mio padre di aver incontrato più volte Cuccia su sua insistente richiesta - anche grazie ai buoni uffici di Salvatore Ligresti - il quale gli espresse le preoccupazioni provenienti da ambienti americani che pronosticavano l'imminente crisi del sistema italiano, post Muro di Berlino, pesantemente gravato dal debito pubblico fuori controllo e dalla corruzione. Nel corso di questi incontri, senza giri di parole, Cuccia gli parlò di una svolta politica per programmare un piano di privatizzazioni gestito, in cui Mediobanca avrebbe potuto assumere un ruolo strategico, a garanzia degli interessi nazionali».
Non si tratta di ipotizzare chissà quali complotti, ma certo Cuccia annusava l'aria, a Milano come a Washington, e si smarcava in vista di un riposizionamento. «Mio padre percepì chiaramente che era stata prospettata al leader socialista l'opportunità di farsi interprete politico di questo piano». Ma Craxi scartò, non si accodò all'establishment che scalpitava, anzi al congresso di Bari dichiarò di essere parte del movimento democratico nato con la Liberazione. È una storia questa che già Fabio Martini aveva colto nel libro Controvento. Ora Lo Giudice afferra altri dettagli inediti e li mette in una cornice precisa.
Una bussola per comprendere quel che accadde: Mediobanca a braccetto con Mani pulite. L'Italia modificava i suoi assetti: qualcuno, come i Ferruzzi, fu inghiottito, altri, vedi la Fiat, sopravvissero al cataclisma e si presentarono quasi immacolati ai cancelli della Seconda Repubblica.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.