Torino. È morta dopo una notte di agonia, la piccola Fatima, la bambina di tre anni che giovedì sera è precipitata da un alloggio del quarto piano, in un palazzo del centro di Torino.
Per la sua morte la polizia ha fermato Azhar Mohssine, 32 anni, originario del Marocco e compagno della madre della piccola. Per lui l'accusa è di omicidio volontario con dolo eventuale. Gli inquirenti ipotizzano che l'uomo abbia scaraventato di sotto la piccola, durante un litigio con la mamma, una donna italiana di 41 anni, legata sentimentalmente al giovane marocchino. La convalida del fermo è stata fissata per lunedì.
Gli inquirenti vogliono ricostruire la dinamica della tragedia, per accertare eventuali responsabilità che per ora sembrano ricadere sul giovane marocchino, che comunque non era solo quando Fatima è precipitata nel vuoto. Con lui c'erano la mamma della piccola ed un loro amico.
Sono bastati pochi minuti agli agenti della polizia per capire che Fatima era troppo piccola e gracile per arrampicarsi lungo le inferiate del ballatoio per poi sporgersi e cadere di sotto. Per questo hanno voluto chiarire quanto è accaduto nei minuti che hanno preceduto la tragedia, ascoltando chi in quei momenti si trovava con Fatima. Da una prima ricostruzione da parte degli inquirenti, la piccola si stava muovendo tra l'appartamento della mamma e quello di Mohssine, che vive nell'alloggio confinante, sullo stesso ballatoio. A dare l'allarme è stata una panettiera che ha il negozio vicino al palazzo: quando i soccorritori sono arrivati, Fatima era ancora viva ed è stata trasportata in ospedale dove i medici l'hanno sottoposta ad un delicato intervento chirurgico per le lesioni multiple al torace, al cranio e alle ossa. L'intervento dell'equipe di neurochirurghi tecnicamente è riuscito ma Fatima non ce l'ha fatta.
Intanto che i medici tentavano di salvare la piccola, gli inquirenti hanno iniziato gli interrogatori dei vicini di casa, della mamma di Fatima ed il suo compagno. Azhar Mohssine era visibilmente ubriaco ed alternava brevi momenti di lucidità, nei quali chiedeva dello stato di salute della bambina, a fasi in cui straparlava, urlando e sputando, contro i poliziotti della Squadra Volante, battendo i pugni contro il finestrino dell'auto della Polizia. «La legge italiana fa schifo», gridava l'uomo. «Sono qui da 14 anni e sono stato troppo tempo in carcere. Auguro a tutti voi - ha detto Mohssine rivolgendosi agli agenti -, che a vostra figlia capiti la stessa cosa».
Il giovane marocchino, poche ore prima della morte di Fatima, era stato condannato a otto mesi al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato per il possesso - da lui negato - di una cinquantina di grammi di hashish.
Il fermo di Azhar Mohssine non è un punto di arrivo ma piuttosto un atto dal quale far partire le indagini: tutte le piste restano aperte, anche quelle di un tragico incidente. La piccola Fatima potrebbe aver scavalcato la ringhiera o essere passata tra una sbarra e l'altra in un momento di disattenzione delle tre persone adulte che in quel momento si trovavano nei due alloggi confinanti.
L'inchiesta dovrà anche stabilire dove si trovava la bambina: a casa della madre o nell'alloggio vicino, dove vive Mohssine, nonché appurare se i soccorsi sono stati chiamati in maniera tempestiva. Fondamentale sarà stabilire se l'uomo era solo con la piccola quando è caduta dal ballatoio e se abbia una qualche responsabilità.
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