Lo stop all'accordo sul grano da parte della Russia rischia di essere un problema molto serio per le stalle italiane. Secondo quanto emerge da un'analisi di Coldiretti, infatti, dall'Ucraina prima della guerra arrivavano in Italia 1,2 miliardi di chili tra grano, olio di girasole e mais per l'alimentazione animale ogni anno. E se, per quanto riguarda il grano, Kiev esporta nel nostro Paese solo il 3% dell'import nazionale, pari a 122 milioni di chili, ben più complicato è il discorso per quanto riguarda l'olio di girasole e il mais. In base ai dati Istat, l'importazione di olio di girasole si è attestata nel 2021 a 260 milioni di chili. L'Ucraina, inoltre, costituisce, con una quota del 13% per un totale di 785 milioni di chili, il secondo fornitore di mais per l'Italia, che ha bisogno di importare circa la metà del proprio fabbisogno per garantire l'alimentazione degli animali nelle stalle.
L'annuncio della Russia, afferma Coldiretti, «spinge i prezzi con l'interesse sul mercato delle materie prime agricole della speculazione». Senza il grano ucraino, è assai probabile che il prezzo della materia prima, così come è accaduto per il gas, aumenti in modo considerevole. Soprattutto perché, come nota sempre Coldiretti, sui prodotti agricoli così come si è osservato per il gas «le quotazioni dipendono sempre meno dall'andamento reale della domanda e dell'offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati future uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto, a danno degli agricoltori e dei consumatori».
Il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, ha voluto recapitare un messaggio al neo ministro dell'Agricoltura e della Sovranità alimentare, e forestale, Francesco Lollobrigida, e al nuovo governo di centrodestra: «Occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole e industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione, come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali». L'Italia, infatti, è costretta a importare materie prime agricole anche perché, fa notare l'associazione degli agricoltori, negli ultimi dieci anni i compensi troppo bassi riconosciuti ai produttori hanno portato alla riduzione di quasi un terzo della produzione nazionale, esponendo il Paese a una maggiore dipendenza dalle importazioni estere. «Serve anche investire per aumentare la produzione e le rese dei terreni», prosegue Prandini, «con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità, contrastare l'invasione della fauna selvatica e sostenere la ricerca pubblica con l'innovazione tecnologica a supporto delle produzioni».
Da notare, infine, che il blocco dell'import di mais
dall'Ucraina va a innestarsi su una situazione già esplosiva, dal momento che i costi di produzione sono già cresciuti del 57% secondo il Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria.
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