Bluff di Bonafede sui boss scarcerati

Il dl si limita a chiedere ai giudici di rivalutare le decisioni. Centrodestra all'attacco

Bluff di Bonafede sui boss scarcerati

Due settimane di tempo concesse ai giudici che hanno scarcerato in massa mafiosi e narcotrafficanti per ripensarci, anche alla luce dell'allentamento della pressione del virus, e riportare in cella i detenuti: questa è l'unica sostanza del decreto che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha portato sabato notte all'esame del governo, e che ieri mattina è stato ufficialmente varato. È un decreto che il ministro presenta con una certa enfasi, annunciando che «nessuno può pensare di approfittare dell'emergenza sanitaria determinata dal Coronavirus per uscire dal carcere», e persino che «in momenti straordinari, servono provvedimenti straordinari».

Di straordinario, in realtà, il decreto ha poco. Il provvedimento si limita a infliggere ai magistrati di sorveglianza l'obbligo di rivalutare periodicamente la situazione dei già scarcerati, e per le nuove richieste ribadisce quanto era peraltro già stabilito nel decreto precedente, ovvero la necessità di un parere preventivo da parte delle procure antimafia prima della concessione degli arresti domiciliari ai detenuti condannati per reati particolarmente gravi. Non toglie, nè poteva farlo a meno di venire asfaltato dalla Corte Costituzionale, la competenza ai tribunali sui provvedimenti di scarcerazione. Ma nemmeno interviene sulla situazione di impreparazione delle carceri all'emergenza Coronavirus, che è alla base di quasi tutti i decreti che nei giorni scorsi hanno ammesso i detenuti agli arresti domiciliari. Neanche una riga, infatti, sugli interventi chiesti da più parti per il rafforzamento dei reparti detentivi negli ospedali, che potrebbero essere la destinazione più ovvia per i detenuti a rischio di contagio. E nulla sulle misure chieste a gran voce dell'avvocatura per riportare in funzione la giustizia penale, attrezzando i tribunali per celebrare i processi dal vivo e in condizioni di sicurezza, in modo da concludere i processi e scarcerare gli imputati assolti o condannati a pene lievi.

Sono lacune di cui il ministro dovrà rispondere in Parlamento, dove è atteso probabilmente giovedì prossimo: una audizione che avverrà col Guardasigilli nel mirino della mozione di sfiducia presentata dal centrodestra, e che ieri Matteo Salvini ha fatto sapere di non voler ritirare. «Ci sono state - dice il leader leghista a In mezz'ora in più - rivolte in carcere, detenuti morti, poliziotti feriti, carceri incendiate e oltre 400 mafiosi in libertà, usciti di galera. Peggio di così cosa deve fare un ministro della Giustizia?». La mozione di sfiducia, sulla carta, non ha i numeri per passare, perché - anche se con qualche imbarazzo e distinguo - Pd e Italia Viva stanno tenendo sponda al Guardasigilli.

I renziani, per bocca di Ernesto Magorno, nei giorni scorsi hanno respinto sdegnati l'accusa avanzata da Fratelli d'Italia di un baratto tra la fiducia a Bonafede e il via libera dei grillini alla regolarizzazione degli immigrati. Ma il sospetto continua ad aleggiare.

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