Fresco di vittoria elettorale alle amministrative del 6 maggio e con il vento in poppa per essersi distinto a livello internazionale nella campagna vaccinale anti-Covid, Boris Johnson veste ora i panni del guerriero impegnato in una campagna tanto simbolica quanto cruciale, quella per la libertà di espressione. Noto per le sue uscite poco ortodosse e controcorrente, l'irriverente premier inglese ha deciso che il free speech va difeso nelle università britanniche e sui social network, anche quando sconfina nella scorrettezza politica, e che è il momento di impegnarsi concretamente contro la cancel culture, quel pensiero dilagante che ha generato la crociata per l'abbattimento di decine di statue di figure storiche e punta a rimuovere pezzi di storia e personaggi del passato, giudicandoli senza considerare le circostanze socio-storico-culturali in cui certe idee e quei personaggi si sono sviluppati.
Ecco che tra i circa trenta disegni di legge annunciati martedì nel Discorso della Regina, in cui Sua Maestà legge il programma del governo per l'anno in corso, sono spuntate due proposte normative, approdate in Parlamento già ieri, con la solita efficienza british. La prima prevede un obbligo legale per le università e per la prima volta anche per le Students' Unions - le organizzazioni che rappresentano gli studenti nei college e nelle università e spesso organizzano dibattiti su temi di interesse e di attualità - di proteggere la libertà d'espressione, pena il rischio di essere trascinate in tribunale se a qualche studente, oratore o accademico venisse messo il bavaglio, al punto da poter consentire a chi è stato censurato di chiedere un risarcimento. Il ministro dell'Istruzione Gavin Williamson ha definito l'Higher Education (Freedom of Speech) Bill un disegno di legge «storico», «una pietra miliare» per contrastare «gli effetti agghiaccianti della censura nei campus» su studenti, personale e relatori «che non si sentono liberi di poter dire la loro». Chi viola gli obblighi, rischierà multe e sanzioni. Per dimostrare la bontà dell'approccio governativo, il ministro dell'esecutivo Johnson cita il caso delle 500 sterline di costi che il Bristol Middle East Forum ha dovuto affrontare per garantire la sicurezza dell'ambasciatore israeliano invitato a parlare a un evento. E poi la lettera di oltre un centinaio di accademici, che hanno lanciato un attacco pubblico a Nigel Biggar solo perché il docente di Oxford ha osato dire che gli inglesi possono sentirsi «orgogliosi» dell'Impero tanto quanto possono vergognarsene.
Come prevedibile, la linea Johnson è già sotto attacco, accusata di «aggiungere complessità alla governance universitaria» e nuovi requisiti di conformità. Rischia di insistere sull'ovvio - è l'obiezione - visto che le università sono già tenute a proteggere la libertà di parola e le libertà accademiche. Ma il governo tira dritto.
E con un altro disegno di legge vuole affrontare la questione anche sui social network. Facebook e Twitter - è l'intenzione - dovranno fornire agli utenti strumenti per ricorrere contro la rimozione dei propri messaggi. Ma la battaglia sul web, ben più ampia, è appena cominciata.
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