Bonafede "uomo d'onore". In silenzio per 15 minuti

Non parla nemmeno il prestanome. Trovata la collezione di Ray-Ban di Messina Denaro

Bonafede "uomo d'onore". In silenzio per 15 minuti

Ai «niente saccio» (niente so) degli indagati fa eco, nell'interrogatorio di garanzia di ieri, la scena muta di Andrea Bonafede, il prestanome dell'ultimo stragista del'92 e '93 Matteo Messina Denaro accusato di associazione mafiosa. Non ha ceduto dinanzi al Gip e al pm Piero Padova. Appena quindici minuti di silenzio ed era tutto terminato. Avvalersi della facoltà di non rispondere era nei suoi diritti, ma ciò appare in linea con quello che pensa di lui il Gip, ovvero che sia un «uomo d'onore riservato», fidatissimo del boss dei boss, e, come tale, non parla. E non lo fa neanche il capomafia, che ieri sarebbe dovuto comparire in videoconferenza dal carcere dell'Aquila all'udienza preliminare del processo Xydi celebrato a Palermo. È il procedimento che vede coinvolti padrini e gregari della mafia agrigentina, e tra gli imputati spicca il nome dell'avvocata Angela Porcello, legale dei boss, che è stata condannata a 15 anni e 4 mesi per associazione mafiosa. La posizione del capomafia era stata stralciata in quanto latitante.

Le indagini proseguono per ricostruire la latitanza, che si sarebbe concentrata in un territorio ristretto trapanese e, almeno negli ultimi 10 anni, in un fazzoletto di terra attorno alla sua Castelvetrano. Era lì, riverito dai suoi fedelissimi, ben voluto dai tanti che «ci hanno mangiato» con le sue intuizioni speculative in diversi settori, dal commercio alle energie rinnovabili, al turismo, attività che si affiancavano a quelle più palesemente illecite come droga e estorsioni.

I Ros hanno perquisito la casa di via Alberto Mario, a Castelvetrano, in cui il padrino viveva con la madre. Tra le sue cose c'era la collezione di occhiali Ray-ban, uno dei quali indossato in una delle poche foto che si hanno, e poi una sua foto esposta su un mobile accanto a quella del padre «don Ciccio», capo del mandamento di Castelvetrano, dello champagne e una copia del libro «Facce di mafiosi» di Flavia Mantovan, 20 opere olio su tela, tra cui una ritraente Messina Denaro con Ray-ban e una corona. Frequentava la casa materna almeno nel 2012. Lo conferma al telefono l'ex dirigente generale di polizia Antonio del Greco, con un passato nelle Squadre mobili di Milano e Roma e un'esperienza nella Dia. Come ha dichiarato a Striscia la Notizia, del Greco ha ribadito che in quell'anno il super latitante viveva vicino a Castelvetrano. «Ero direttore della V zona di polizia di frontiera, operavo negli aeroporti dice del Greco -. A Palermo un conoscente mi disse che un parente del Trapanese aveva informazioni su Matteo Messina Denaro. Incontrai questa persona che sostiene che il latitante era miope e portava gli occhiali, per cui la foto che circolava andava corretta. Disse che andava a far visita alla madre e alla donna con cui aveva una figlia di 11 anni. Possedeva ristoranti, alberghi, supermercati, il porto di Marsala, intestati a prestanome. Diede anche dettagli sulle sim in uso a lui e informò che era di sua proprietà una struttura alberghiera vicino Trapani usata da funzionari di polizia e agenti. Ecco che veniva a sapere quando c'erano operazioni in zona. Possedeva due motoscafi che usava in caso di fuga per rifugiarsi in Tunisia».

Del Greco inviò un'informativa ai superiori e restò in attesa di evoluzioni. Non ce ne furono. «La fonte si era resa disponibile ad accompagnare gli investigatori sui luoghi dice del Greco . Mi sollecitò perché il boss avrebbe potuto cambiare casa. Oggi ecco tanti riscontri».

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