È sopravvissuto, fin qui, all'emergenza Covid, alla crisi del carburante legata alla Brexit, allo scandalo per la ristrutturazione di Downing Street e a quello sui favori all'ex amante Jennifer Arcuri. Ha superato, indenne, le conseguenze per il discorso improvvisato su Peppa Pig e la perdita, dopo 200 anni, dello storico seggio conservatore di North Shropshire. Ma stavolta Boris Johnson, 57 anni, da due e mezzo primo ministro del Regno Unito e leader che ha traghettato Londra fuori dall'Unione europea, dopo aver stravinto le elezioni, rischia davvero grosso con il «partygate», lo scandalo per la festa tenuta il 20 maggio 2020 nel giardino di Downing Street, nonostante il Paese fosse in lockdown e ai cittadini fosse vietato di vedere, anche all'aperto, più di una sola persona alla volta. Il pericolo che il primo ministro britannico venga defenestrato è reale e sempre più serio, persino dopo le scuse offerte ieri da Bojo al Parlamento. A chiederne le dimissioni non è più solamente il leader dell'opposizione laburista Keir Starmer, ma anche, apertamente, alcuni colleghi Tory, tra cui il deputato William Wragg, convinto che «Johnson stia danneggiando la reputazione del partito» e persino il leader dei Conservatori di Scozia, Douglas Ross, e oltre la metà dei deputati del Parlamento scozzese.
Le parole di Johnson a Westminster non sono piaciute a molti e sono sembrate l'ennesima strategia del premier: scusarsi per non scusarsi. Boris ha offerto, in un primo momento, le sue «scuse di cuore» per aver partecipato all'evento, al quale sono state invitate un centinaio di persone, anche se presenti erano una trentina, tra cui il capo di governo e l'allora fidanzata Carrie Symonds. «So che molti hanno sofferto e perso persone a loro care e per questo mi scuso a nome del governo. Capisco la rabbia verso di me e il mio staff per non aver rispettato regole che noi stessi abbiamo imposto», ha detto contrito BoJo. Salvo poi precisare che credeva si trattasse di «un evento di lavoro», che «potrebbe tecnicamente rientrare nelle linee guida», anche se «milioni di persone non la vedrebbero così». Per provare la sua buona fede, il premier ha spiegato di essersi fermato una ventina di minuti, «per poi tornare in ufficio a fare il mio lavoro». Parole che non sono piaciute in primis ai parenti delle vittime di Covid: «Non contento di prendere a calci nei denti le famiglie in lutto come la mia, infrangendo le regole da lui stabilite e poi mentendoci al riguardo, ora sta prendendo per scemo il pubblico britannico facendo finta di non sapere che fosse una festa», ha commentato Hannah Brady, portavoce dell'associazione Covid-19 Bereaved Families for Justice. A seguire sono arrivate le reazioni, ben più preoccupanti per il premier, di molti esponenti Tory. È soprattutto la ribellione interna dei deputati conservatori la vera minaccia alla permanenza di Johnson a Downing Street. Alcuni colleghi di partito lo vogliono fuori subito, convinti che la pezza messa da Johnson in Parlamento sia peggio del buco. L'invito al party era in effetti esplicito: «Portate una bottiglia». Per questo il leader dei Tory scozzesi annuncia di voler scrivere al Comitato 1922, composto da deputati che non ricoprono alcun ruolo nel governo ma che possono chiedere, con il 15% dei loro voti, di avviare una mozione di sfiducia. La poltrona di Re Boris vacilla e già si fa il nome del ministro delle Finanze, Rishi Sunak, come possibile successore. Chi si gode lo spettacolo e liquida come «cavolate» le giustificazioni del premier è Dominic Cummings, ex braccio destro di Johnson, cacciato da Boris e da mesi in cerca di vendetta. C'è lui dietro le rivelazioni e potrebbe averne in serbo altre dopo esser finito nel tritacarne anche lui per aver violato il lockdown, prima di essere messo alla porta.
D'altra parte, per non aver rispettato le regole sono stati costretti all'addio il ministro della Salute, Matt Hancock, che baciò l'amante contro le norme anti-Covid, e la portavoce del governo Allegra Stratton, dopo un altro party in lockdown.
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